A cura di Roberta Manca
Essere genitori è il mestiere più difficile: genitori e figli si nasce insieme e insieme si cresce nella relazione ogni giorno.
Quali sono le caratteristiche che denotano una relazione educativa e che cosa rende un genitore un buon educatore?
Partendo da questi interrogativi si può affermare che il principale compito di un genitore-educatore consiste infatti nel concepire, predisporre e quindi trasferire un modello comportamentale che consenta al figlio-allievo di interagire con i suoi simili, muovendosi all’interno del contesto sociale.
Il figlio, poi, raggiunta la maturità, potrà così proseguire indipendentemente il suo percorso di vita.
In questo lungo itinerario di formazione, il genitore-educatore trasferirà anche abitudini, aiuterà a sviluppare attitudini e inclinazioni, promuoverà la conoscenza dei valori umani e sociali che renderanno il figlio-allievo, uomo.
Purtroppo però non tutte le relazioni interpersonali possono definirsi educative.
Una relazione educativa infatti implica reciprocità, biunivocità, bidirezionalità, o meglio, l’intenzione dell’adulto a trasferire e la disponibilità del bambino a recepire.
Adulto e bambino evolvono insieme: si sostengono, si mescolano e si uniscono anche se diversi, riconoscendosi reciprocamente lo stesso valore.
L’accento quindi sarà sempre posto sul singolo, sull’attività dell’uno che rende possibile quella dell’altro; una relazione in cui l’adulto sarà disponibile a rivedere le proprie posizioni per consentire lo sviluppo, la promozione e la pienezza dell’altro.
In una simile modalità relazionale non c’è spazio per genitori egocentrici e figli destinatari passivi; non sono previsti piani stabiliti dai grandi ai quali i piccoli debbano attenersi.
Non esistono visioni adultomorfiche o prospettive puerocentriche: i bambini non sono “cera da plasmare” o “vasi da riempire”.
Nascosto dietro un genitore che si impone c’è l’ostinazione, magari anche inconscia, a voler considerare i bisogni dell’infanzia come funzionali rispetto alle esigenze e alle aspettative di se stesso.
Ne è un esempio il connubio diabolico che lega la famiglia al tempo libero del bambino: tempo da controllare e da organizzare ad ogni costo, da pianificare con diverse attività extrascolastiche che spesso i bambini rifiutano, o che compiono annoiandosi.
Nella prospettiva puerocentrica, centrata sul ragazzo, la base è rappresentata da aspetti positivi, ad esempio il rispetto per il singolo, per la sua originalità, autonomia e libertà.
Con il tempo, purtroppo, alcuni aspetti positivi di questa visione sono degenerati nella retorica del lassismo e del permissivismo con conseguente abdicazione del ruolo genitoriale , e dell’impegno educativo e affettivo: quindi il bambino-allievo, abbandonato a se stesso, non è più parte di una relazione educativa di pari livello , ma si ritrova solo… non più attore, ma spettatore di un rapporto senza direzione.
Nella rapporto educativo, invece, ambedue i poli di questo rapporto sono presi nella debita considerazione: genitore e figlio, ognuno al proprio “posto”, legati da una relazione sana e nutriente per entrambi.
Psicologa, Psicoterapeuta in formazione presso la Scuola di Specializzazione ASPIC. Specializzata in dinamiche di coppia e nel sostegno genitoriale, è esperta nei temi inerenti l’infertilità, l’adozione e la procreazione medicalmente assistita. Da diversi anni conduce gruppi di empowerment al femminile e di drammaterapia. Si occupa, inoltre, della dipendenza da Internet, ritiro sociale e cyberbullismo. Afferisce al Centro d'Ascolto Psicologico (C.A.P.) Gratuito di ASPIC PSICOLOGIA.
Per partecipare ai gruppi di lavoro o per poter usufruire dei servizi dell'Associazione è possibile scrivere a [email protected] oppure chiamare il numero 3274619868.
Pubblicato il 20/02/2017 alle ore 18:23
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