A cura di Ewa Jagiela
La ricerca di sostanze o di comportamenti capaci di rendere più efficaci le prestazioni sia intellettuali che fisiche nasconde, da sempre, il sogno umano di realizzare il superamento dei limiti e dell’angoscia sperimentata nel corso delle fasi evolutive durante l’intero ciclo della vita.
Questa ricerca non costituisce di per sé la precondizione delle forme di dipendenza patologica, in quanto si tratta di un fenomeno universale che appartiene alla lotta dell’uomo per l’esistenza e alla necessità di riconfermare in ogni istante la prevalenza della vita sulla morte.
Alcune persone, però, diventano dipendenti da questa ricerca fino al punto di perdere la capacità di badare a se stesse e di non avere più una normale interazione dinamica con la realtà. Si definisce con l’espressione dipendenza patologica una forma morbosa determinata dal uso distorto di una sostanza, di un oggetto o di un comportamento; una specifica esperienza caratterizzata da un sentimento di incoercibilità e dal bisogno coatto di essere ripetuta con modalità compulsive; ovvero una condizione invasiva in cui sono presenti i fenomeni del craving, dell’assuefazione e dell’astinenza in relazione a un’abitudine incontrollabile e irrefrenabile che il soggetto non può allontanare da sé. Sebbene le dipendenze principali e maggiormente conosciute siano quelle inerenti alle droghe e all’alcol, esiste un gruppo di dipendenze legate a oggetti o comportamenti presenti nella vita di tutti i giorni che non hanno nulla a che fare con l’abuso di sostanze.
La dipendenza da cibo, sesso, televisione, Internet e videogiochi, shopping compulsivo, gioco d’azzardo, lavoro eccessivo, cosi come la ricerca continua e incessante di esperienze sentimentali e di stati di innamoramento costituiscono un insieme eterogeneo che, nel suo complesso, può essere definito tossicomania oggettuale. Quindi, esistono molte dipendenze e non necessariamente meno pericolose di quelle legate alla droga, che sono oggetto di studi e ricerche da parte della psicologia e psichiatria. Le persone diventano dipendenti da esperienze che possono modificare l’umore e le sensazioni e, pertanto, la dipendenza, prima ancora di essere una condizione neurobiologica o un problema sociale, è un fenomeno individuale che può presentarsi nel corso dello sviluppo psicologico come risposta a specifici fattori evolutivi. Questi fattori fanno della dipendenza una precisa costellazione di relazioni oggettuali, angosce e difese la cui dinamica si manifesta in un’attitudine obbligatoria che ha finalità e motivazioni non sempre chiare, né alla consapevolezza del paziente, né alla valutazione del clinico.
Una di queste è il gioco d’azzardo[1]. Al gioco, in generale, e al gioco d’azzardo, in particolare, in quanto l’espressione della più ampia dimensione ludica dell’uomo, deve essere riconosciuto un ruolo fondamentale per lo sviluppo e la sopravvivenza dell’uomo e della civiltà. Il gioco, infatti, è una vera e propria forma di cultura, come l’arte; anzi, “[…]la cultura, nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco. Il gioco, dunque, appartiene al registro della sanità: facilità la crescita, favorisce la socializzazione, rappresenta un utile svago e una piacevole evasione temporanea della quotidianità per scaricare le tensioni accumulate o per provare l’emozione del rischio.
L’attività giocosa che concerne la manipolazione di elementi aleatori, che vanno dai numeri ai simboli, rappresenta una tradizione degli esseri umani verso la quale l’uomo è propenso anche in virtù dell’eredità, mai completamente abbandonata, della modalità di pensiero magico-onnipotente, che spesso spinge ad associare al gioco il rischio dei propri beni e del denaro. È proprio sulla base di tale naturale propensione verso il gioco d’azzardo, che nella storia e nel tempo si sono sviluppate molteplici forme di giochi di rischio associati quasi sempre al “caso” e di cui esistono tracce sia nei reperti archeologici (dadi e oggetti similari), che negli antichi manoscritti relativi ai popoli orientali dell’antico Egitto, della Cina, del Giappone e dell’India, ma anche nelle narrazioni sull’antica Grecia legate alle scommesse degli indovini sui risultati dei giochi olimpici e sull’antica Roma dove sui combattimenti dei gladiatori si poteva scommettere con delle puntate, le cosiddette “munera”.
Lo sviluppo sociale del problema del gioco d’azzardo è in parte favorita anche dalle crescenti possibilità di scelta tra una vasta gamma di tipologie di gioco, ormai sempre più legalizzate, che riescono a rispondere alle simpatie dei giocatori con diverse propensioni e con differenti personalità. Così i giocatori d’azzardo vanno dagli amanti della trasgressione da gran salone, come quella dei giochi da Casinò e delle slot-machine, agli appassionati dei videogiochi che si lasciano conquistare dai sempre più diffusi videopoker, agli appassionati dei giochi d’azzardo popolari, come le lotterie, il gioco di numeri e di schedine, fino al Bingo, la moderna trasformazione del gioco della tombola, che riesce a conquistare anche interi gruppi grazie al suo profondo legame con il vissuto di una concessa usanza festiva a dimensione familiare[2].
Sempre più, negli ultimi anni, i giochi d’azzardo hanno sviluppato il nuovo mercato, anche con le tecnologie digitali che permettono un maggior coinvolgimento di larghi strati di popolazione. Gli strumenti tecnologici attuali consentono infatti di allargare in modo pressoché inesauribile le dimensioni dell’esperienza virtuale, danno libero e facile accesso a interi mondi sensoriali, offrono alla mente crescenti opportunità di interagire con realtà non materiali.
Il grande sviluppo tecnologico, le trasformazioni della macchina fino al personal computer e poi alla sua connessione in rete rimangono sullo sfondo: al centro invece è il teatro degli umani, lo scambio tra i soggetti in cui la mediazione non è più istituzionale o normativa, non dipende cioè dalle regole riconosciute dalla società, tanto meno dalle leggi o dalla politica ufficiale.
È dunque lo schermo, la superficie piatta che si anima e si arricchisce: vince la dinamica dell’interfaccia[3]. Il rapporto tra l’uomo e tecnologia nell’epoca attuale diviene ogni giorno più esteso, complesso, e articolato, modifica gli stili di vita e i comportamenti mentali, i modi di sentire e di pensare, influenza le scelte dei singoli e della collettività ed è dunque da ritenere il primo e più importante fattore di mutamento, sociale, culturale e psicologico. Un numero crescente di soggetti si sente oggi sempre più tecnologicamente attratto dalle esperienze che le tecnologie consentono di effettuare. I dispositivi tecnologici della comunicazione e dell’informazione – televisione, videogame, cellulare, computer e Internet – determina la comparsa di condotte disfunzionali, additive, compulsive.
Gli aspetti comuni a tutte queste forme, al di là della loro diversificazione, permettono di designarle con il termine di dipendenze tecnologiche[4]. In particolare, le dipendenze da Internet, rappresentano un’area emergente delle dipendenze tecnologiche e da esperienze virtuali. Internet rappresenta la più grande rivoluzione del nostro tempo. Una rivoluzione che ha cambiato abitudini e stili di vita consolidati. Se pure ha introdotto considerevoli comodità e miglioramenti nelle nostre vite, Internet, tuttavia, sembra costituire anche un pericolo. Navigare tra le pagine del Web richiede grande prudenza.
Come nella vita reale, anche su Internet possiamo venire in contatto con adescatori e criminali, possiamo cadere vittime di truffe, prepotenze e raggiri, possiamo rovinarci economicamente col gioco d'azzardo. Al di là di tali esperienze negative, Internet, soprattutto, ha cambiato il nostro modo di entrare in contatto col mondo che, non avviene più in modo diretto, corporeo, scontrandosi con la concretezza di persone ed oggetti, ma in modo indiretto, attraverso la mediazione del computer, davanti al quale siamo sempre più soli a vivere le nostre ovattate esperienze virtuali. Talvolta invece di moltiplicare le nostre capacità e possibilità, il computer genera allora alienazione e distacco dalla realtà. Diventa un mezzo che favorisce il ripiegamento su se stessi, un accogliente rifugio dove ripararsi dalla paura di affrontare il mondo reale.
Diventa come la bottiglia per l'alcolizzato, qualcosa di cui non riusciamo più a fare a meno, che interferisce con lo svolgimento soddisfacente della nostra vita quotidiana, con lo studio, gli amici, lo sport, gli affetti[5].
È necessario porre particolare attenzione ai giovani, in particolare agli adolescenti. Le persone giovani hanno grandi capacità e abilità nell’usare le più moderne tecnologie digitali, tra cui Internet. Questa condizione, però, li espone maggiormente ad un uso problematico che può essere fatto di tali tecnologie e in particolare, per quanto riguarda Internet, al gioco d’azzardo online[6]. Il problema delle dipendenze tecnologiche nelle fasce di età infantile e adolescenziale ha naturalmente risvolti molto delicati, se si considera che attualmente sono circa 450.000 gli utenti della rete da 0 a 10 anni, il che significa che oltre il 20% dei bambini italiani delle elementari naviga in Internet, mentre circa 2.200.000, cioè il 75%, sono quelli che usano il computer con regolarità[7].
[1] Il gioco d’azzardo consiste nello scommettere beni, per esempio denaro, sull’esito di un evento futuro. Per tradizione le quote si pagano in contanti. Giocatore d’azzardo può essere chiunque.
[2] http://www.benessere.com/psicologia/arg00/dipendenza_gioco_azzardo.htm
[3] Turkle S., [1997], La vita sullo schermo, APOGEO, Milano
[4] Carretti V., La Barbara D.,(a cura di), [2005], Le dipendenze patologiche., RaffaelloCortinaEditore
[5] Cantelmi, T., Talli, M., "Internet Addiction Disorder. Usi e abusi della 'rete delle reti'" in Psicologia contemporanea, novembre-dicembre 1998, n.150, pp. 4-11
[6] Griffiths MD, Parke J. Adolescent gambling on the internet: a review. Int J Adolesc Med Health. 2010 Jan-Mar; vol. 22(1) pp. 59-75.
[7] Carretti V., La Barbara D.,(a cura di), [2005], Le dipendenze patologiche., RaffaelloCortinaEditore
Ewa Jagiela. Psicologa ad indirizzo in Psicologia delle Organizzazioni e dei Servizi. Svolgo attività di Ricerca e Formazione. Sono Coordinatore dell’Insegnamento di Riabilitazione in Area Neurologica, Docente di psicologia clinica (PSI/O8); Docente di Infermieristica Preventiva e di Comunità (MED/45) in convenzione sottoscritta tra Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata e Università degli Studi di Roma “SAPIENZA”. Il mio approccio è integrato privilegiando il modello cognitivo-comportamentale. Gli ambiti di intervento di cui mi occupo sono: consulenza in lingua madre (polacco), psicologia clinica, psicologia interculturale, psicologia del lavoro, delle organizzazioni e delle risorse umane. Afferisce al Centro d'Ascolto Psicologico gratuito di Aspic Psicologia.
Pubblicato il 22/12/2019 alle ore 13:31
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