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a cura di Florinda Barbuto, referente dell'Équipe Aspic Emergenza
L’emergenza sanitaria legata al Covid-19 non si è mai, almeno legalmente e amministrativamente, chiusa. Eppure tutti noi stiamo vivendo quasi una nuova emergenza, come se quella dei mesi precedenti fosse conclusa o quanto meno in via di risoluzione.
Cosa è successo? Cosa sta accadendo? Perché la nostra percezione oggi è così diversa da quella di questa primavera?
Le teorie ed esperienze sviluppate nell’ambito del supporto psico-sociale nella gestione delle crisi e delle emergenze ci offre spunti interessanti per rispondere a queste domande.
Una delle caratteristiche ricorrenti nelle emergenze è il susseguirsi di fasi tipiche che vengono così descritte:
1. Fase Eroica: gli individui e la comunità canalizzano livelli straordinari di energia nelle attività di salvataggio, aiuto, accoglienza e riordino;
2. Fase della Luna di miele: gli elementi tipici di questa fase sono un diffuso ottimismo dei singoli superstiti e della comunità, l’afflusso delle risorse, l’attenzione dei media e di tutto il mondo, visite dei “VIP”, rassicurazioni di un veloce ritorno alla normalità; i superstiti cominciano a credere che la loro casa, la loro comunità e la loro vita verranno ripristinate velocemente;
3. Fase di Disillusione: l’emergenza e/o gli effetti dell’emergenza perdurano e iniziano ad emergere la fatica e arriva la disillusione; ovunque ci sono persone che si lamentano per il tradimento, l’abbandono, le ingiustizie, le incompetenze e gli intoppi burocratici che bisogna subire; i sintomi connessi allo stress si intensificano e la speranza diminuisce;
4. Fase di Ristabilizzazione: comincia la ricostruzione, la maggior parte delle persone torna al livello di funzionamento precedente la calamità, anche se gli anniversari aggravano i sintomi; c’è una maggiore capacità di gestione delle relazioni e delle difficoltà in generale nonché l’attribuzione di questa sicurezza alle lezioni apprese dalla calamità.
Dopo una iniziale fase di confusione e di attivazione (fase eroica) si è passati rapidamente alla fase della luna di miele. Ci sentivamo tutti parte di una comunità: fiduciosi (!) o almeno speranzosi che insieme avremmo risolto ogni difficoltà e che le istituzioni avrebbero avuto le risposte ai nostri problemi.
Ci troviamo oggi ad affrontare la fase della disillusione, quella in cui realizziamo che in fondo la soluzione non è così vicina come pensavamo e che le risorse non sono così ampie come credevamo.
E allora il nostro amico diventa nemico, le istituzioni che avrebbero dovuto salvarci, i nostri persecutori. La sfiducia prende il sopravvento e sembra quasi non ci sia via d’uscita.
Fin qui ok siamo quasi nell’ordinario rispetto allo straordinario che le emergenze rappresentano. In questa emergenza però c’è una peculiarità. A differenza di un terremoto, di una esplosione o di uno tsunami, il Covid-19 non è un evento repentino, per quanto devastante. E l’emergenza è ancora attiva dopo tanti mesi, come se una scossa, sebbene con intensità alterne, non smettesse mai di essere attiva. Ma d’altra parte le vittime del sisma de L’Aquila del 2009 e del Sisma del Centro Italia del 2016 sanno bene di cosa stiamo parlando.
Un’emergenza che sembra non avere fine. Un futuro incerto.
E la fatica. La fatica di uno stress che è utile quando ti aiuta ad affrontare un problema momentaneo ma che diventa logorante quando quel problema dura troppe ore, giorni, mesi.
A descriverla così la situazione appare veramente drammatica. Può esserci soluzione a un problema così vasto e dagli effetti ancora più vasti?
Per fortuna crediamo di sì, altrimenti (forse) non staremmo qui a parlarne.
La soluzione (sempre che di soluzione si possa parlare) è tutt’altro che facile. Ma vale la pena investire in questo.
Uno dei primi aspetti riscontrati dalla comunità degli operatori della relazione d’aiuto è che le segnalazioni più problematiche non arrivavano da chi svolgeva già un percorso di crescita personale o di terapia: costoro hanno appreso da tempo strategie di coping che li hanno aiutati ad affrontare con resilienza questa emergenza. Le difficoltà più ampie sono state segnalate dalla restante parte della popolazione che si è trovata impreparata di fronte ad un’emergenza così ampia, imprevista e ingestibile che, tra l’altro, ha amplificato le difficoltà pre-esistenti e spesso taciute.
Un secondo aspetto ha a che fare con situazioni drammatiche di persone che a fronte di quelli che sono stati definiti gli “effetti collaterali” della pandemia si sono trovati senza lavoro, o ancora più isolati e ancora più disperati, senza risorse cui far riferimento per trovare risposta ai propri problemi.
E qui, poi, l’ultimo aspetto che più mi preme evidenziare. La necessità di far ricorso a quella che viene definita “resilienza di comunità”. Un tempo esistevano le comunità, a partire dalle famiglie, le comunità parrocchiali, i paesi, gli amici. E in queste si trovavano aiuti, conforti, risposte. Oggi questo senso di comunità è sempre più minacciato ma ciò non significa che sia destinato a soccombere. È nella nostra Comunità, familiare, di quartiere, regionale, nazionale, globale, che possiamo riscoprire quella solidarietà per cui vale la pena fare “la fatica” di rallentare per aiutare il componente che è più indietro perché, e non mi stancherò mai di ricordarlo: “Da soli si va più veloce, insieme si va più lontano”.
Pubblicato il 01/11/2020 alle ore 10:42
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