All’origine del femminismo c’è un’opera di Mary Wollstonecraft, pubblicata a Londra nel 1792 (Cavarero e Restaino, 2002). Il nome dell’opera è “Rivendicazione dei diritti della donna”. L’autrice dichiara che l’oppressione femminile non è un fatto di natura, ma il risultato dell’educazione. Sostiene, infatti, che le donne, prima di tutto, devono operare su loro stesse per infrangere la posizione di inferiorità imposta dagli uomini, ma praticata dalle donne stesse.
Non è facile modificare elementi culturali profondi come quelli alla base della condizione della donna. Malgrado i grandi progressi della condizione femminile nel mondo occidentale, la piena parità di diritti tra uomo e donna è ancora una formula su carta. Si può citare, ad esempio, la differenza di remunerazione tra i due sessi, a parità di prestazione lavorativa. Più banalmente, si può considerare il diffuso luogo comune della pericolosità della donna al volante o quello della sua eccessiva emotività, che la renderebbe incapace di prendere decisioni importanti.
Sono infiniti i messaggi che ci vengono veicolati sin da bambini che vanno, anche sottilmente, a sottolineare una presunta inferiorità della donna. Questi messaggi sono tanto efficaci d’aver spinto molte donne a cercare di realizzarsi come gli uomini, per dimostrare la propria parità, invece di cercare una via autonoma di autorealizzazione. Un piccolo esempio è rappresentato dall’usanza di andare a vedere degli spogliarelli maschili, l’8 marzo. Al di là dell’aspetto giocoso, sembra esserci il bisogno di comportarsi da uomini nel giorno dedicato alle donne.
Il termine di paragone continua a rimanere l’elemento maschile ed è così che una donna “in gamba” diventa una “donna con gli attributi”.
Prendiamo l’8 marzo come pretesto per proporvi una riflessione: è possibile promuovere la parità dei sessi come valorizzazione delle differenze, piuttosto che come mascolizzazione dei comportamenti? Discutine sul forum ASPICommunity, nell’area Confronti.
Pubblicato il 06/03/2009 alle ore 07:00
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