Amore e psicoterapia: sembra il tema del solito film stereotipico con protagonista uno psicoterapeuta e la sua giovane e bellissima paziente. Eppure non si tratta della versione psicanalitica di Lolita, ma di un interessante articolo di Danna Bodenheimer (2011), docente alla University of Pennsylvania ed alla Rutgers University, recensito nella sezione Pubblicazioni Internazionali di aspicpsicologia.org.
Secondo l'autrice, l'amore di tipo platonico e non-erotico è una componente del rapporto psicoterapeutico tanto importante quanto negletta e poco studiata. La ragione principale, secondo Bodenheimer (2011), è che l’amore nella relazione psicoterapeutica rappresenta un “campo minato dell’etica professionale”. Contemporaneamente, avere delle teorie e delle tecniche in grado di dare significato al fenomeno e di aiutare i clinici a gestire l’amore che provano per i loro clienti, potrebbe essere un’occasione di arricchimento per la pratica professionale e potrebbe svelare nuovi aspetti curativi e riparativi all’interno della coppia terapeutica.
Nel suo recente articolo An Examination of the Historical and Current Perceptions of Love in the Psychotherapeutic Dyad, Danna Bodenheimer passa in rassegna la letteratura esistente sul tema dell'amore, riferendosi ad un fenomeno non-erotico, un legame affettivo simile, ma qualitativamente diverso, al concetto di controtransfert positivo.
L'autrice rintraccia nelle origini della psicanalisi la paura che gli psicoterapeuti sembrano nutrire verso l'amore platonico in campo clinico. Presenta, ad esempio, lo scompiglio provocato nella vita di Breuer dal caso di Anna O. e le note difficoltà incontrate da Freud con Dora e da Jung con Sabine Spielrein. Le forze profondamente emotive che sono alla base del rapporto terapeutico sembrano, a volte, troppo vicine all'amore romantico per essere indagate in modo sicuro.
Spesso i forti sentimenti che si generano all'interno della coppia terapeutica sono letti e spiegati attraverso i concetti di transfert e controtransfert.
Contemporaneamente, a proposito dell'affetto tra terapeuta e paziente, Shaw (2003) ha suggerito di identificare una chiara terminologia che permetta di descrivere l'amore che si verifica in campo clinico al di là dei fenomeni transferali e controtransferali. Egli nota l'incongruenza tra il classico obiettivo terapeutico del rendere possibile una migliore e completa espressione emotiva e la sostanziale incapacità nella realtà clinica di riconoscere l'amore che esiste tra psicoterapeuta e cliente.
In linea con molti dei suoi contemporanei (Gabbard 2001; Rabin 2003; Schamess 1999), Shaw incoraggia la normalizzazione dei sentimenti di amore nella coppia terapeutica attraverso la ricerca e gli studi clinici, per poter arrivare a stabilire dei principi guida per la pratica professionale. L'amore va gestito con cura in quanto può essere pericoloso. Ma va anche riconosciuto, così come vanno recuperate nella relazione terapeutica la sensazione di essere amabile e le possibilità di dare e ricevere amore.
Bernstein (2001) ha tentato di formulare una definizione di amore che invitasse gli analisti ad esplorare la possibilità della sua presenza. La sua definizione segue la seguente linea di pensiero: il terapeuta è in grado di mettere da parte i propri bisogni in favore di quelle del cliente. Una rinuncia di questo tipo è generalmente riconosciuta come un atto di amore, come l'interesse per il bene di un altro.
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Pubblicato il 24/05/2011 alle ore 09:00
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