Caro dottore

Recensione a cura di Alessia D’Acunti, psicologa.

 

Il medico di famiglia è un punto di riferimento importante per molte persone. È il professionista che meglio conosce il nostro stato di salute e che spesso si occupa di noi per anni, accogliendo diversi livelli di disagio e orientando alle cure necessarie. Da una recente ricerca (Noyes, Longley, Langbehn, Stuart e Kukoyi, 2010) è emersa una interessante relazione tra la qualità del rapporto instaurato da medico di famiglia e paziente e la presenza di sintomi di ipocondria. Sembra infatti che al diminuire della qualità della relazione, aumenti la sintomatologia ipocondriaca.

L’ipocondria

L’ipocondria è definita da Noyes et al. (2010) come la paura o la convinzione di avere una malattia grave a dispetto delle evidenze cliniche. Secondo una lettura interpersonale, proposta dagli autori dello studio, l’ipocondria è l’espressione di un disagio che cerca di elicitare risposte di rassicurazione da parte degli altri (Balint, 1972). Il disturbo sembra essere legato ad uno stile d’attaccamento insicuro (Stuart e Noyes, 1999), per cui la persona tende a vedere se stessa come immeritevole di cure (in senso ampio) e/o gli altri come incapaci o disinteressati a fornirle (Bowlby, 1975; Griffin & Bartholomew, 1994). Inoltre, precoci esperienze di malattia che colpiscono la persona o un suo familiare, tendono ad aumentare la probabilità che i disagi possano esprimersi attraverso il corpo e le sensazioni (Noyes et al., 2010).

Tra medico e paziente

Noyes e collaboratori (2010) hanno analizzato i dati di 310 questionari di pazienti tra i 18 e i 65 anni, trovando che i sintomi di ipocondria erano associati con una minore qualità percepita della relazione con il medico di famiglia.

Secondo gli autori, sono possibili molte spiegazioni per questo fenomeno. Ad esempio, gli ipocondriaci sono notoriamente insoddisfatti delle cure ricevute e, vedendosi come indegni di cure, potrebbero diffidare di ogni medico che tenti di rassicurarli (Starcevic, 1990). Le loro richieste continue di rassicurazione, infatti, rispondono a bisogni non soddisfatti e spesso servono proprio ad allontanare coloro che potrebbero soddisfarli. Dal canto loro i medici potrebbero non essere in grado di comprendere un paziente “senza malattia organica” e potrebbero non sapere come comportarsi in queste situazioni.

Probabilmente nel rapporto tra medico e paziente ipocondriaco si crea un circolo vizioso in cui ognuno svaluta la posizione dell’altro, tra le silenti accuse di non essere sufficientemente malato e di non essere sufficientemente competente.

Dalla malattia alla salute

Secondo Raffaele D'Alterio (2010), "ai crescenti successi della medicina corrisponde paradossalmente, l’aumento d’insoddisfazione tra i pazienti e gli stessi medici, che peraltro sembrano andare per strade diverse: i pazienti alla ricerca di una maggiore tutela, i sanitari alla ricerca di un riparo da richieste di salute a volte difficilmente soluzionabili." A volte, la relazione tra medico e paziente potrebbe farsi complicata perché il medico potrebbe non avere la possibilità (in termini di tempo, risorse e formazione) di cogliere quei bisogni di cura che vanno al di là del corpo del paziente.

Questo processo è piuttosto noto, tanto che si parla da tempo di "umanizzazione delle cure". È una definizione che sorprende, perché sembra sottendere l'esistenza di "cure disumane", di tecniche di intervento sconnesse dalla persona. Contemporaneamente suggerisce che i medici sentono l'esigenza di sensibilizzarsi "alle tematiche relazionali per accrescere la capacità di sviluppare un rapporto empatico con il paziente" (D'Alterio, 2010). Cresce, infatti, da parte dei pazienti la domanda di salute e di benessere, intesi come la capacità di affrontare e risolvere i problemi in modo soddisfacente e flessibile all'interno del proprio contesto (Giusti, 2009). È evidente in questo senso l'enorme contributo che può offrire e sta offrendo la psicologia in ambito sanitario, intervenendo direttamente nell'ambulatorio del medico (Tomassoni, Iacarella e Solano, 2002) o promuovendo la capacità di convivere, comunicare e relazionarsi in modo efficace.

Il fine è quello di favorire interventi sanitari "centrati sulla persona, sulla specificità delle esperienze che racconta e dei problemi che pone, ma anche sulle risorse e sulle opportunità che emergono dalla sua narrazione" (Montanari, 2009).

Bibliografia

Balint, M. (1972). The Doctor, His Patient and the Illness. Revised Edition, New York: International Universities Press.

Bowlby, J. (1975). Separation: Anxiety and Anger, Volume 2 of Attachment and Loss. New York: Basic Books.

D'Alterio R. (2009). Riflessioni sul Counselling in ambito Sanitario: dal gruppo di ricerca alla costituzione del Master in Counselling Sanitario, in “Il Counselling: una nuova risorsa nel Sistema Socio-Sanitario italiano. Interventi e prospettive in Italia e nei Paesi Anglosassoni”. ASPIC News, 2-3.

Giusti E. (2009). La salutogenesi, in Barbuto F. e D'Acunti A. (a cura di), Prospettive integrate nella relazione d’aiuto, Edizioni Scientifiche ASPIC.

Griffin, D., Bartholomew, K. (1994). Models of self and others: fundamental dimensions underlying measures of adult attachment. Journal of Personality and Social Psychology, 67, 430-445.

Henderson, S. (1974). Gare-eliciting behavior in man. Journal of Nervous and Mental Disease, 159, 172-181.

Montanari C. (2009). Il Counselling una nuova risorsa nel sistema socio-sanitario italiano, in “Il Counselling: una nuova risorsa nel Sistema Socio-Sanitario italiano. Interventi e prospettive in Italia e nei Paesi Anglosassoni”. ASPIC News, 2-3.

Noyes R. Jr., Longley S. L., Langbehn D. R., Stuart S. P. e Kukoyi O. A. (2010). Hypochondriacal Symptoms Associated With a Less Therapeutic Physician-Patient Relationship. Psychiatry 73(1), 57-69.

Starcevic, V. (1990). Role of reassurance and psychopathoiogy in hypochondriasis. Psychiatry, 53, 383-395.

Stuart S, & Noyes, R. (1999). Attachment and interpersonal communication in somatization. Psychosomatics, 40, 34-43.

Tomassoni M., Iacarella G. e Solano L. (2002). Psicologia della Salute e Medicina di Base: una collaborazione proficua. Psicologia della Salute, 1, 121-134.

Note sull’autore

Alessia D’Acunti, psicologa, è specializzanda in Psicologia Clinica di Comunità e Psicoterapia Umanistica Integrata presso l’ASPIC. Svolge la professione di psicologo, presta servizio civile presso l’AIMaC (Associazione Italiana Malati di Cancro, Parenti e Amici) ed è il referente news dello Staff di aspicpsicologia.org.

Pubblicato il 12/10/2010 alle ore 09:00

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