Di cosa è fatta la Speranza?

Intervista all’artista Roberta Maola - ideatrice del progetto artistico Sola lì rimase Speranza presso il Museo Macro Asilo

a cura di Giorgia Scarpitti, psicologa, psicoterapeuta in formazione, socia di Aspic Psicologia

Poco più di un anno fa, in occasione di una mostra d’arte, ho avuto il piacere di conoscere l’artista Roberta Maola ammirare il suo lavoro. Osservando i suoi disegni a matita su carta, sono immediatamente entrata dentro una rappresentazione del reale autentica, famigliare, concreta, quasi tangibile nella sua resa formale, ma nello stesso tempo mi sono sentita anche accompagnata in una nuova, inedita e inaspettata lettura di possibili alternative, strade, significati e verità. Con il suo tratto determinato e sfumato e uno sguardo attento alla complessità delle cose, Roberta mi ha dato la possibilità di attribuire un nuovo senso per immergermi in un ignoto ricco di opportunità, paradossi e nuove riflessioni. Oggi ci rincontriamo con lei per farci raccontare il suo prossimo progetto artistico “Sola lì rimase Speranza”patrocinato dalle associazioni culturali ASPIC Psicologia, HIDALGO, Officina d’arte e SIPAP Società Italiana Psicologi area Professionale, in programma il 21 e 22 Dicembre al MACRO ASILO (Museo d’Arte Contemporanea di Roma, via Nizza 138).

D. Di cosa si tratta?

R. “Sola lì rimase Speranza” è una proposta progettuale che offre la possibilità a tutti i visitatori, grandi e piccoli, di realizzare insieme un’opera partecipata. Tutto parte dall’osservazione di un mio disegno, facente parte di una serie di opere ispirate al mito di Pandora, che ha un richiamo abbastanza esplicito con un’istallazione prospiciente, che ho realizzato per il progetto.  Al visitatore è chiesto di rispondere alla domanda: “Di cosa è fatta la Speranza?”, scrivere la risposta su un biglietto e inserirla all’interno dell’installazione stessa che, lasciandosi permeare dalle “contaminazioni” dell’osservatore, si propone sia come contenitore delle riflessioni che essa ingenera, sia come contenuto, diventando così la rappresentazione, interattiva e vivente, dell’evidenza che ogni opera è sì frutto delle capacità e della personalità dell’artista, ma è, inevitabilmente, completata dal coinvolgimento dello spettatore. 

D. Quando ho letto per la prima volta il titolo del progetto ho pensato che fosse importante, per tutti, sapere di cosa è fatta la speranza, o comunque poter dedicare un tempo di riflessione al tema. Ho avvertito sin da subito curiosità di conoscere la nascita dell’idea e la scelta del tema. Qual è stato il processo creativo ed introspettivo che ti ha condotto alla realizzazione del progetto? 

R. Come ho detto prima, tutto è partito da una serie di miei lavori, ispirati al mito di Pandora, che giocano sul paradosso di conservare “gelosamente” concetti astratti o facoltà umane immateriali dentro vasi di vetro che normalmente sono dedicati a contenere oggetti fisici. Sviluppando questo concetto, ho immaginato per le giornate del 21 e 22 Dicembre, una modalità in cui l’idea della Speranza venga co-costruita simbolicamente da tutti i visitatori inserendo dentro un contenitore, fisico e non disegnato questa volta, la loro personale idea di speranza. 

D. Nel mito di Pandora la donna è portatrice inconsapevole di sventure, ma anche custode ultima della Speranza. Nella tua opera vedo con il ribaltamento del mito, anche un’inversione della concezione del femminile come possibilità di accogliere e generare Speranza partendo da un abbraccio e impegno comune. Qual è il ruolo della donna e del femminile nella co-costruzione della Speranza? 

R. Tanto nel mito di Pandora così come nella Genesi la donna viene rappresentata come curiosa e trasgressiva rispetto alle ingiunzioni o ai tabù imposti dall’entità superiore. Conseguenze negative per l’umanità scaturirebbero da tale tendenza a metterle in discussione. Nel mio modo di vedere, invece, queste caratteristiche del genere femminile sono ciò che consente il cambiamento, la spinta alla crescita che inevitabilmente passa anche attraverso difficoltà e sofferenza. Metaforicamente l’apertura del vaso di Pandora e la fuoriuscita di tutti i mali potrebbe essere interpretata come la propensione delle donne ad esplicitarli ed affrontarli rompendo così il silenzio e l'indifferenza. 

D. Com’è per te immaginare di piantare un seme profondo e vedere come l’opera possa evolvere ed assumere nuovi contenuti attraverso il contributo di co-autori sconosciuti? 

R. Per me è molto stimolante immaginare di dare un input con il mio lavoro che avvia un processo creativo, apparentemente casuale, nel quale sarà possibile riconoscere similitudine e differenze estreme, L’aspetto più importante quello che si genererà non sarà una semplice sommatoria dei singoli contributi individuali dei visitatori, ma bensì il risultato unico del clima emotivo e delle relazioni che si stabiliranno tra i vari partecipanti. 

D. Perché il MACRO Asilo è il luogo giusto in cui vedere realizzato il tuo progetto?

R. Perché, a mio parere, la filosofia proposta nel progetto “MACRO ASILO” di Giorgio De Finis, è quella di creare un laboratorio aperto a tutti, all’interno del quale gli artisti potessero creare sinergie, nonché il visitatore, potesse essere coinvolto attivamente alla fruizione e, come in questo caso, anche alla realizzazione di opere partecipate. Oltre a questo il MACRO ASILO offre anche l'opportunità di uno scambio tra diverse discipline come ad esempio la filosofia o la psicologia con l'arte stessa, motivo per il quale ho voluto e ho potuto coinvolgere, nel mio progetto, professionisti che trattassero aspetti diversi del sentimento della Speranza, consentendo così l'integrazione tra il pensiero, il linguaggio, la scrittura, l’azione e l'arte favorendo in questo modo uno scambio tra vari livelli di consapevolezza: verbale e preverbale. 

D. Di cosa è fatta la Speranza per Roberta? 

R. La mia idea di speranza è tutta racchiusa nell'opera “Empatia – oggetto smarrito” esposta frontalmente all’installazione. Per me la speranza sta tutta nella capacità dell'essere umano di riconoscersi nell'altro e di comprenderlo. Nei miei studi universitari mi sono imbattuta negli scritti di Karl Jaspers, il quale affermava che l'essenza stessa dell'essere umano sta nella facoltà di scegliere e che nella scelta, nell'agire intenzionale e consapevole, diamo continuità storica al nostro essere. A questo aggiungo che una scelta che sia veramente consapevole non può non tener conto del punto di vista dell’altro, del suo stato d'animo e del suo pensiero. Diversamente il nostro comportamento è solo una giustapposizione a quello altrui, non è vera relazione. 

PROGRAMMA Sola lì rimase Speranza di ROBERTA MAOLA

Pubblicato il 17/12/2019 alle ore 10:13

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