Gli elettori americani hanno scelto il loro 44° presidente: Barack Obama.
Le elezioni americane di quest'anno sono ritenute storiche. Le ragioni sono molte, ma quella che prenderemo in considerazione adesso è che il nuovo presidente degli Stati Uniti è un afroamericano. In un mondo perfetto questo non avrebbe alcuna importanza, ma la storia americana ci mostra che non è così. Negli Stati Uniti l'uguaglianza di diritti tra bianchi e neri è stata raggiunta da pochi decenni e la cultura razzista ha ancora una grande influenza.
E' risaputo che gli afro-americani sono più presenti nelle carceri americane, ricevono prestazioni sanitarie meno adeguate, hanno un reddito inferiore e riportano tassi di disoccupazione più elevata rispetto ai bianchi. La lista degli svantaggi del nascere nero negli Stati Uniti potrebbe continuare ed è paragonabile a quella di nascere in molte altre minoranze sparse nel mondo. L'elemento chiave non è il colore della pelle, quindi, ma l'appartenere ad una minoranza: essere un cristiano in Italia è diverso dall'essere un cristiano in Pakistan.
E' possibile definire minoranza un gruppo sociale subordinato, che non costituisce una realtà politicamente dominante in una società. L'etichetta di "minoranza", quindi, assume valore solo in riferimento ad un contesto. Non si tratta di numeri o di biologica, ma di una questione psicosociale e culturale.
Da anni è noto che le "razze" umane non esistono, cioè che non c'è alcun fondamento scientifico nel definire una "razza nera" o una "razza bianca" o di qualsiasi altro tipo. Esiste solo la razza umana, che ci comprende tutti. Eppure il nostro linguaggio è ancora permeato da distinzioni razziali. In particolare, gli statunitensi hanno trovato un modo "politically correct" per continuare a distinguere le persone in gruppi etnici definiti e semplicemente identificabili: caucasico, afroamericano, asiatico, ispanico...
E' evidente che non riusciamo a rinunciare a delle categorie per definire noi stessi e gli altri, ne abbiamo bisogno per rendere il mondo riconoscibile e pensabile. Così, ogni volta che vediamo un gatto, abbiamo già un'idea, determinata culturalmente, di come sarà e di come si comporterà. Questo ci permette di entrare in relazione con lui "velocemente", ad esempio stando attenti nell'accarezzarlo perché sappiamo che potrebbe graffiarci.
Allo stesso modo ci comportiamo con le persone, le organizziamo in categorie e ci comportiamo seguendo le nostre credenze sulle varie categorie. Vedendo un punk molti di noi tenderanno a "girare alla larga", altri lo faranno vedendo uno straniero, mentre tenderemo a fidarci di una persona bella e ben vestita.
Si tratta di meccanismi più o meno inconsapevoli, ma non per questo le nostre categorie sono immutabili. Alcune cambiano nel corso di una vita, altre nel corso di generazioni, e spesso i cambiamenti più rilevanti conseguono a profonde trasformazioni culturali. Così, nel corso di qualche decennio, si può passare dall'iniquità di diritti tra bianchi e neri all'avere un presidente afroamericano in uno stato politicamente dominato dai caucasici.
La vittoria di Obama non pone fine alle ineguaglianze sociali negli Stati Uniti, ma certamente testimonia un cambiamento culturale.
Pubblicato il 05/11/2008 alle ore 07:00
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