Di Pasqua Rotondi, psicologa.
Il cibo. Ne siamo circondati continuamente. Immagini pubblicitarie, offerte dei diversi supermercati che affollano le nostre strade, pubblicità televisive. Il cibo prodotto, finito, realizzato. Magari da qualcun altro.
A me piace pensare al cibo in termini di possibilità che ho io di crearlo. Di metterci del mio, di “mettere le mani in pasta”, dove sporcarmi le mani e poi ripulirle richiama alla mente i giochi fatti da bambina nella sabbia o nel terreno.
Per me cucinare è un atto creativo. La creatività -capacità di produrre lavoro che sia nuovo, quindi originale o inatteso, ed appropriato, ovvero utile (Sternberg e Lubart, 1991)- in cucina emerge fin da subito quando noi scegliamo gli ingredienti e li mettiamo insieme.
La scelta degli ingredienti può avvenire in diversi modi: in base ai colori che i cibi hanno, gli odori che questi emanano, il gusto che proviamo quando li assaggiamo e, infine, la scelta può avvenire sulla base dei bisogni dell’organismo: “l’organismo sa tutto” (Perls, 1980).
Unire gli ingredienti richiama alla mia memoria racconti fantastici in cui in un pentolone venivano mescolati insieme degli ingredienti per realizzare una pozione magica. Così come in questi racconti magici, anche noi quando cuciniamo mettiamo una o più pentole sul fuoco e vi versiamo gli ingredienti che vogliamo (se seguiamo il nostro istinto) o come viene indicato (se seguiamo una ricetta) e li mescoliamo insieme. E nell’aria inizia a diffondersi un nuovo odore, è l’odore della nostra opera d’arte: il nostro piatto.
Così come un pittore quando crea un’opera d’arte è coinvolto attivamente in quello che fa , così anche chi cucina sceglie quali ingredienti usare e quali no, assaggia e valuta e può decidere di esplorare nuovi aromi, spezie e sapori. Possiamo dire, pertanto, che quando una persona cucina fa esperienza di autonomia (sceglie), assertività (decide) ed esplorazione (Giusti e Piombo, 2003) -sperimenta sapori e odori nuovi-.
Come un pittore davanti al suo quadro finito ammira i risultati del suo lavoro, preparare dei piatti ci permette di percepire i progressi fatti. Il piatto finito è la prova del fatto che abbiamo creato qualcosa; ha una sua forma, dei colori, una consistenza, un odore e un sapore. Questo riscontro nella realtà aumenta la consapevolezza che “siamo capaci di”. In psicologia l’ampliamento e l’arricchimento delle risorse personali viene espresso col termine di empowerment, ovvero l’acquisizione di potere positivo. In questo senso si può affermare che sperimentarsi nell’arte di cucina può aumentare il nostro empowerment. L’empowerment, in questo caso, è inteso come un processo di arricchimento delle nostre risorse personali (Francescato e Giusti, 1999).
Le fate nelle favole preparavano pozioni per fare del bene a qualcuno, noi quando cuciniamo per noi stessi ci stiamo prendendo cura di noi. Ci stiamo dedicando del tempo. E se prima di iniziare a cucinare ci chiediamo di cosa abbiamo voglia, stiamo ascoltando noi stessi, i nostri bisogni. Pensiamo alla differenza che c’è quando mangiamo qualcosa di cui abbiamo voglia e quando mangiamo qualcosa solo per riempirci la pancia.
Allo stesso modo, se stiamo preparando un piatto per qualcun altro ci stiamo prendendo cura dell’altra persona. Pensiamo agli infiniti messaggi che possiamo mandare a qualcuno quando, per esempio, gli prepariamo una torta.
E come il pittore ammira con stupore estatico la sua creazione, così noi mangiando godiamo appieno dell’opera d’arte che abbiamo realizzato. E così, come nella preparazione, anche mentre mangiamo tutti i nostri sensi sono chiamati a partecipare di questo momento magico.
Francescato D., Giusti E. (1999) Empowerment e clinica, Kappa, Roma.
Giusti E.,
Perls F. (1980). La terapia gestaltica parola per parola, Astrolabio, Roma.
Sternberg R., Lubart T. (1991). An investment creativity theory and its development. Human development, 34.
Pubblicato il 06/07/2009 alle ore 07:00
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