Di Alessia D'Acunti, psicologa.
“La guerra è ora uno dei volti della follia,
una follia dell’uomo,
non di un singolo uomo.”
(Vittorino Andreoli, Un secolo di follia)
Il 25 aprile del 1945 Milano e Torino vennero liberate dal regime nazi-fascista. Questa data è stata assunta quale giornata simbolica della liberazione di tutta l'Italia dal regime e viene ancora commemorata annualmente come Festa della Liberazione.
Le truppe alleate arrivarono nelle principali città liberate nei giorni seguenti al 25 aprile. Fu il 29 aprile 1945 che i partigiani assunsero formalmente pieni poteri civili e militari, con la resa incondizionata dell'esercito tedesco.
La Festa della Liberazione mantiene viva la memoria della guerra, celebrando la fine dell’oppressione e ribadendo che “coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo” (George Santayana).
Il 25 aprile 1945 si chiude simbolicamente uno dei capitoli più tragici della storia italiana. Ancora oggi, dopo più di 60 anni, molti luoghi conservano qualche velato segno dei bombardamenti. Non è raro che un vecchio ordigno bellico venga fatto brillare dopo essere rimasto sepolto per più di mezzo secolo.
Con il passare delle generazioni, la memoria della guerra si è affievolita, ma continua a persistere nei ricordi e nelle storie delle persone più anziane. Molti di noi hanno o hanno avuto una nonna o un nonno pronto a cominciare i suoi racconti con le parole "quando c'era la guerra...".
La narrazione e l’ascolto sono degli elementi fondamentali degli interventi in situazioni d’emergenza messi in atto dai professionisti della relazione d’aiuto. Nei contesti d’emergenza, “si viene catapultati in una situazione di crisi, in cui le domande sorgono più rapidamente rispetto alla nostra capacità di elaborare gli stimoli esterni al fine di produrre una risposta” (Giammaria e Bruè, 2009). La persona oggetto di improvvise perdite, la persona che ha affrontato gli orrori della guerra, attraverso il racconto può ridefinire gli eventi traumatici a cui è stata esposta, partecipandovi sia emotivamente che cognitivamente.
Le storie di guerra non sono la semplice descrizione di ciò che è stato o di ciò che si è vissuto. Esse permettono di riorganizzare la realtà. Il linguaggio è lo strumento con cui l’individuo rappresenta e spiega gli eventi interni ed esterni e attraverso il quale costruisce la relazione ed il contatto con l’altro (Montanari, Di Renzo e Bonano, 2007). La narrazione, quindi, consente di dar significato a quello che è successo, di renderlo in qualche modo pensabile e meno spaventoso, di immaginare altri mondi possibili e di condividere tutto questo con gli altri.
Andreoli V. (1991). Un secolo di follia, Rizzoli.
Giammaria A. e Bruè C. (2009). La psicologia nel contesto dell’emergenza. In Barbuto F. e D'Acunti A. (a cura di), Prospettive integrate nella relazione d'aiuto, Edizioni Scientifiche ASPIC.
Giusti E. e Montanari C. (2004). Trattamenti psicologici in emergenza con EMDR. Per profughi, rifugiati e vittime di traumi. Sovera Editore.
Montanari C., Di Renzo D. e Bonano A. (2007). Il Counselling nell’Emergenza, News ASPIC Emergenza n. 0.
Alessia D’Acunti, psicologa, è specializzanda in Psicologia Clinica di Comunità e Psicoterapia Umanistica Integrata presso l’ASPIC. Svolge la professione di psicologo, collabora con AIMaC (Associazione Italiana Malati di Cancro, Parenti e Amici) ed è il referente news dello Staff di aspicpsicologia.org.
Pubblicato il 21/04/2011 alle ore 09:00
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