Amore e psicoterapia

Bodenheimer D. (2011). An Examination of the Historical and Current Perceptions of Love in the Psychotherapeutic Dyad, Clinical Social Work Journal, 39, 39-49.

Recensione a cura di Florinda Barbuto e Alessia D'Acunti.                              

 

Amore e psicoterapia. Sembra il tema del solito film stereotipico con protagonista uno psicoterapeuta e la sua giovane, bellissima e seduttiva paziente. Eppure non si tratta della versione psicanalitica di Lolita, ma di un interessante articolo di Danna Bodenheimer (2011), docente alla University of Pennsylvania ed alla Rutgers University.

Secondo l'autrice, l'amore di tipo platonico e non-erotico è una componente del rapporto psicoterapeutico tanto importante quanto negletta e poco studiata. Le ragioni per cui questo tema è stato poco discusso sarebbero tante: la difficoltà a definire il concetto di “amore non erotico”, la sua natura estremamente soggettiva, le ambiguità generate dalla parola stessa. La ragione principale, secondo Bodenheimer (2011), è che l’amore nella relazione psicoterapeutica rappresenta un “campo minato dell’etica professionale”. Contemporaneamente, avere delle teorie e delle tecniche in grado di dare significato al fenomeno e di aiutare i clinici a gestire l’amore che provano per i loro clienti, potrebbe essere un’occasione di arricchimento per la pratica professionale e potrebbe svelare nuovi aspetti curativi e riparativi all’interno della coppia terapeutica.

Ai suoi albori, la professione psicoterapeutica sembrava praticata da un professionista lontano e neutrale che eseguiva il suo lavoro su di un paziente inconsapevole. Per la comunità scientifica, la reale complessità del rapporto terapeuta-utente è diventata più chiara nel tempo, favorendo una concettualizzazione più egualitaria e co-costruita della relazione. Questo lungo percorso è stato caratterizzato dallo studio e dall’approfondimento di diversi fattori e di diverse componenti della relazione diadica tra clinico-cliente, tra cui il transfert, il controtransfert e le emozioni connesse.

Nel suo recente articolo An Examination of the Historical and Current Perceptions of Love in the Psychotherapeutic Dyad, Danna Bodenheimer passa in rassegna la letteratura esistente sul tema dell'amore, dove nell'usare la parola “amore” si riferisce ad un fenomeno non-erotico, un legame affettivo simile, ma qualitativamente diverso, al concetto di controtransfert positivo.

Anna O. e la paura dell'amore

Nel IV-V secolo a.C., Platone introdusse la nozione di amore non erotico, definendolo un costante e profondo legame spirituale che interessa due individui senza alcuna forma di coinvolgimento sessuale. Data l'innocenza dell'amore platonico, nota l'autrice, è sorprendente che la tradizione psicoterapeutica abbia sempre fortemente scoraggiato i sentimenti di amore all'interno della diade clinico-paziente. Tale scoraggiamento, di fatto, ha prodotto una scarsità di ricerche sul tema e, contemporaneamente, ha impedito di analizzare ed utilizzare il fenomeno in campo clinico.

L'autrice rintraccia nelle origini della psicanalisi la paura che gli psicoterapeuti sembrano nutrire verso l'amore platonico in campo clinico. Presenta, ad esempio, lo scompiglio provocato nella vita di Breuer dal caso di Anna O. e le note difficoltà incontrate da Freud con Dora e da Jung con Sabine Spielrein. Baur (1997) ipotizza che le forze profondamente emotive che sono alla base del rapporto terapeutico sembrano, a volte, troppo vicine all'amore romantico per essere indagate in modo sicuro. Spiega che l'esplorazione di questi sentimenti è accetta e vissuta in modo sicuro solo quando è inserita all'interno di un "rapporto parentale". Infatti, quando uno psicoterapeuta parla di sentimenti diversi da quelli che simulano un rapporto genitore-figlio o un rapporto fraterno, riceve poco supporto dalla comunità clinica.

Transfert e controtransfert

Spesso i forti sentimenti che si generano all'interno della coppia terapeutica sono letti e spiegati attraverso i concetti di transfert e controtransfert.

Il transfert è definibile come una riattualizzazione, nel presente, delle emozioni provate con le persone significative della prima infanzia (Cooper e Lesser, 2005). Per Freud, la presenza del transfert rendeva possibile il trattamento, forniva una via d'accesso ai meccanismi di funzionamento della psiche del cliente (Coughlin, 1998).

Il controtransfert è la reazione dello psicoanalista al transfert del paziente o, più in generale, è il transfert del terapeuta. Freud aveva ben compreso la complessità del controtransfert e riteneva necessario porre una grande attenzione a quello che il terapeuta offriva al cliente. Niente dovrebbe derivare dall'inconscio dell'analista, niente dovrebbe essere espresso senza piena consapevolezza.

Freud ha utilizzato per la prima volta il termine controtransfert nel 1910 e, successivamente, lo ha ritenuto un ostacolo alla pratica clinica, che doveva essere regolato da un'attenta autoanalisi (Rachman, 1998).

Un diverso punto di vista fu espresso da Ferenczi, allievo di Freud, che nel 1920 aveva introdotto le prime concezioni di amore terapeutico e di mutualità nel rapporto analitico (Martin, 1998). Mentre Freud richiamava all'autodisciplina e alla sterilità nella pratica clinica, Ferenczi incoraggiava la parità, l'apertura e la condivisione delle conoscenze (Berman, 1997). Incoraggiava gli analisti a fornire ai pazienti l'amore di cui avevano bisogno, anche attraverso l'auto-svelamento (Rachman, p. 264).
Il tentativo di Ferenczi di umanizzare il rapporto terapeutico attraverso l'uso del controtransfert, ha portato Freud a distanziarsi da lui, eliminando così per decenni la questione dell'amore terapeutico dal discorso teorico.

Dal controtransfert all'amore

Le considerazioni non ortodosse di Ferenczi hanno posto le basi della psicoanalisi relazionale, un approccio in cui si sottolinea il  potere curativo della relazione tra analista e paziente. Negli ultimi decenni, inoltre, la ricerca su questo tema è avanzata rapidamente all'interno dei maggiori approcci terapeutici: dinamico, cognitivo-comportamentale e umanistico.

A proposito dell'affetto tra terapeuta e paziente, Shaw (2003) ha suggerito di identificare una chiara terminologia che permetta di descrivere l'amore che si verifica in campo clinico al di là dei fenomeni transferali e controtransferali. Egli nota l'incongruenza tra il classico obiettivo terapeutico del rendere possibile una migliore e completa espressione emotiva e la sostanziale incapacità nella realtà clinica di riconoscere l'amore che esiste tra psicoterapeuta e cliente. In linea con molti dei suoi contemporanei (Gabbard 2001; Rabin 2003; Schamess 1999), Shaw incoraggia la normalizzazione dei sentimenti di amore nella coppia terapeutica attraverso la ricerca e gli studi clinici, per poter arrivare a stabilire dei principi guida per la per la pratica professionale. L'amore va gestito con cura, può essere pericoloso, ma va anche riconosciuto e vanno recuperate nella relazione terapeutica la sensazione di essere amabile e le possibilità di dare e ricevere amore.

Bernstein (2001) ha tentato di formulare una definizione di amore che invitasse gli analisti ad esplorare la possibilità della sua presenza. La sua definizione segue la seguente linea di pensiero: il terapeuta è in grado di mettere da parte i propri bisogni in favore di quelle del cliente. Una rinuncia di questo tipo è generalmente riconosciuta come un atto di amore, come l'interesse per il bene di un altro.

Rosiello (2003), infine, ha messo in evidenza quanto siano ancor meno analizzate e prese in considerazione le situazioni in cui l'amore e l'affetto si sviluppano tra terapeuti e pazienti dello stesso sesso.

Conclusioni

L'interessante articolo di Danna Bodenheimer si chiude con delle riflessioni sul ruolo che l'amore potrebbe ritagliarsi all'interno della psicoterapia. Non vi è ancora un dibattito chiaro e non ci sono ancora delle linea guida sul come l'amore platonico e l'affetto possano essere trasmessi e utilizzati in terapia.

È difficile immaginare come poter comunicare un sentimento tanto potente nell'ambito della professione clinica, senza esserne travolti. Contemporaneamente, senza un linguaggio e degli strumenti adatti ad affrontare la questione, i clinici restano con la presenza ingombrante dell'amore senza poterne trarne i benefici. L'articolo di Bodenheimer, quindi, ha l'evidente pregio di gettare le basi per la ricerca futura in questo ambito.

Bibliografia

Baur, S. (1997). The intimate hour. New York, NY: Houghton Mifflin.

Berman, E. (1997). Relational psychoanalysis: A historical background. American Journal of Psychotherapy, 51(2), 185–204.

Bernstein, A. (2001). Beyond countertransference: The love that cures. Modern Psychoanalysis, 26(2), 249–256.

Cooper, M. G., & Lesser, J. G. (2005). Clinical social work practice. Boston: Allyn & Bacon.

Coughlin, D. (1998). What’s love got to do with it? Therapists’reactions to erotic transference. Unpublished Masters Thesis, Smith College School for Social Work, Northampton, MA.

Gabbard, G. (2001). A contemporary psychoanalytic model of countertransference. Psychotherapy in Practice, 57(8), 983–991.

Martin, L. (1998). Ferenczi’s contribution to the concept of countertransference. International Forum on Psychoanalysis, 7, 247–255.

Rabin, H. (2003). Love in the countertransference: Controversies and questions. Psychoanalytic Psychotherapy, 20(4), 20–33.

Rachman, A. (1998). Judicious self-disclosure by the analyst. International Forum of Psychoanalysis, 7(4), 263–269.

Rosiello, F. (2003). On lust and loathing: Erotic transference/countertransference between a female analyst and female patients. In J. Drescher, A. D’Ercole, & E. Schoenberg (Eds.), Psychotherapy with gay men and lesbians: Contemporary dynamic approaches. Binghamton, NY: Harrington Park Press/The Haworth Press.

Schamess, G. (1999). Therapeutic love and its permutations. Clinical Social Work Journal, 27(1), 9–26.

Shaw, D. (2003). On the therapeutic action of analytic love. Contemporary Psychoanalysis, 39(2), 251–278.

Pubblicato il 02/05/2011 alle ore 19:14

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