Approcci integrati per i disturbi di personalità

Bateman A. W. (2000). Integration in psychoterapy: an evolving reality in personality disorder. British Journal of Psychotherapy, 17(2), 147-156.

 

Anthony Bateman, Consultant Psychistrist in Psychotherapy, propone un'interessante integrazione tra psicoterapia cognitiva e psicanalisi, soprattutto a livello metodologico, con particolare attenzione al trattamento dei disturbi di personalità.

Integrazione auspicabile

Già nel 1919, Freud raccomandava una combinazione di tecniche analitiche e comportamentali per i pazienti agorafobici (Freud, 1919). Un secolo dopo, secondo Bateman, questa integrazione sembra ancora non esistere, manifestandosi al più nell'alternanza di tecniche provenienti da entrambi gli approcci. L'autore riconosce che, tuttavia, nella pratica clinica esistono pratiche integrate, dovute alla flessibilità non manualistica e all'abilità degli psicoterapeuti, capaci di adattarsi alle esigenze dei propri clienti.

Le teorie

La psicanalisi

Wallerstein, in una pubblicazione del 1992, ha suggerito che i diversi movimenti psicanalitici si sono spostati, nel corso degli anni, dalla "psicologia del singolo" alla "psicologia della relazione". La psicanalisi, ormai, non è più fondata su un modello di interpretazione positivista delle difese e degli impulsi del paziente a partire da una posizione di neutralità dell'analista. L'attenzione è ora posta alle dinamiche relazionali: il transfert non è più un semplice dispiegamento del passato nel presente, ma un modo di organizzare il presente in base ai propri modelli di sviluppo.

Anche la personalità è vista in un'ottica di sviluppo. I sistemi delle relazioni oggettuali si stabilizzano attraverso l'interiorizzazione e l'identificazione e vengono modificati dalle fantasie. Le costellazioni relazionali sono impregnate di affetti, che, insieme alle fantasie relazionali, vengono attivati dalle relazioni esterne. Le fantasie relazionali e gli affetti richiedono l'attualizzazione in un contesto interpersonale ed è proprio questo che viene esplorato in terapia attraverso l'interazione transferale e controtransferale.

L'approccio cognitivo-comportamentale

Come la psicanalisi, l'approccio cognitivo-comportamentale cerca di comprendere e trattare la mente umana, ma rimane ancorato alla psicologia del singolo. Il focus, infatti, è sui processi intrapsichici di tipo cognitivo. I processi cognitivi sono considerati le determinanti delle risposte affettive e comportamentali dell'individuo (Beck, 1976).

Fino a qualche decennio fa, l'approccio cognitivo non aveva le basi teoriche necessarie a concettualizzare una teoria della personalità. La situazione è cambiata negli ultimi anni. Alla base della personalità sono stati postulati degli schemi cognitivi e comportamentali, contemporaneamente consapevoli e non-consapevoli, che rappresentano delle strutture di significato. Gli schemi possono essere modificati attraverso l'esperienza, ma nel caso dei disturbi di personalità gli schemi non riescono ad adattarsi ai cambiamenti ambientali. I pattern diventano, quindi, disadattativi.

Integrazione teorica

Secondo Bateman, le differenze teoriche tra i due approcci non vanno appiattite una sull'altra, alla ricerca di teorizzazioni comuni che potrebbero snaturare il senso delle teorie originarie. Al contrario, i punti di contatto tra le teorie vanno utilizzati nella pratica clinica per fornire un approccio più completo alla persona. Le differenze vanno, quindi, rispettate ed utilizzate.

Integrazione nella pratica clinica

Bateman suddivide la pratica psicoterapeutica in due grandi aree:

  • lo sviluppo dell'alleanza terapeutica;
  • e l'intervento (e quindi le tecniche) del terapeuta.

Entrambi gli aspetti sono ritenuti fondamentali ed interagiscono l'uno con l'altro in un modo che non è ancora stato compreso.

L'alleanza

L'alleanza è un elemento molto importante dell'integrazione in psicoterapia ed un aspetto centrale del processo terapeutico. Tutte le psicoterapie, infatti, si basano sulla collaborazione tra paziente e terapeuta.

Sono state proposte due ipotesi principali riguardo al ruolo dell'alleanza terapeutica:

  • l'alleanza è "l'ingrediente attivo", fondamentale, della terapia e guida il cambiamento attraverso la relazione emotiva tra clinico e paziente;
  • l'alleanza è la matrice che sostiene l'intervento, una condizione necessaria ma non sufficiente.

In generale, comunque, una precoce e buona alleanza è in grado di predire migliori risultati in terapia (su questo tema è possibile consultare la recensione di altri due articoli: L’alleanza terapeutica e Aspettative del cliente e alleanza di lavoro).

Si potrebbe pensare che l'alleanza sia più importante nelle terapie psicodinamiche, perché utilizzano il rapporto tra terapeuta e cliente come mediatore del cambiamento. Eppure, numerose ricerche mostrano come l'alleanza sia un importante elemento di influenza sui risultati per diversi approcci psicoterapeutici (ad esempio: Elkin e al., 1989; Shapiro e al, 1995; Stiles e al, 1998), compresi quelli cognitivo-comportamentali (Castonguay e al., 1996).

L'intervento del terapeuta

L'intervento del terapeuta dipende, in primo luogo, dalla teoria di riferimento. Le scelte del clinico sono guidate dall'orientamento teorico e diverse teorie utilizzano diverse tecniche. Benché i risultati degli approcci terapeutici tendano ad equivalere, non c'è equivalenza nelle tecniche usate e nel processo terapeutico (ad esempio: Blagys e Hilsenroth, 2000).

Esistono, però, delle aree di sovrapposizione. Ad esempio, Wiser e Goldfried (1996) hanno trovato che, durante le sedute, i terapeuti cognitivo-comportamentali utilizzano comunemente l'interpretazione e la riflessione, tipiche tecniche psicodinamiche. Nella pratica clinica, quindi, i terapeuti di differenti approcci tendono ad integrare naturalmente tecniche di altri orientamenti.

Tutti i terapeuti fanno riferimento ad un nucleo centrale di tecniche, ma sono in grado di adattarle al proprio cliente per rispondere adeguatamente ai suoi bisogni. Il cambiamento può avvenire solo in un contesto interpersonale: il rapporto tra terapeuta e paziente diventa l'elemento centrale.

Vedere le cose in una nuova luce

Ablon e Jones (1999) rilevarono che i pazienti che tendono ad idealizzare il proprio terapeuta, ottengono migliori risultati. Secondo alcuni autori (Blatt e al., 1997) i pazienti costruiscono nel terapeuta gli aspetti che sentono mancare in se stessi: attraverso l'interiorizzazione e l'identificazione creano nuovi contenuti per se stessi, o ancora, gli schemi interpersonali distorti vengono trasformati in rappresentazioni più realistiche di sé e degli altri. Secondo Bateman, quindi, l'ingrediente chiave della terapia è la capacità del paziente di cominciare a "vedere le cose in una nuova luce".

Integrazione e disturbi di personalità

È ormai evidente che le terapie vengono raramente applicate nelle loro forme pure.

Il programma di terapia ambulatoriale e diurna (in day hospital) per il Disturbo di Personalità Borderline, descritto da Bateman in un precedente articolo (1997), combina interventi esplorativi e basati sul transfert ed interventi supportivi basati sullo sviluppo ed il mantenimento di una buona alleanza.

Il programma è basato su due assunti:

  • il disturbo borderline è un disturbo relazionale;
  • il disturbo relazionale contiene aspetti legati allo sviluppo e aspetti legati alla storia attuale.

Il programma ambulatoriale, sviluppato da quello in day hospital, è fissato in tre sessioni di trattamento organizzate in contesti gruppali ed individuali. È prevista un’esplorazione a base psicoanalitica del sistema delle relazioni oggettuali del paziente, che avviene nella relazione di transfert e controtransfert. Nelle sedute di gruppo, inoltre, vengono utilizzate delle tecniche cognitive.

Bateman e Fonagy (2000) in una rassegna sui trattamenti per i disturbi di personalità, hanno evidenziato che i trattamenti efficaci mostrano degli elementi comuni:

  • sono ben strutturati;
  • sono attenti allo sviluppo della compliance;
  • hanno un focus specifico;
  • hanno un elevata coerenza interna, a livello teorico, che vede d’accordo sia il terapeuta che il clinico;
  • sono a lungo termine;
  • incoraggiano una forte relazione d’attaccamento tra terapeuta e cliente;
  • sono pensati per essere integrati agli altri servizi disponibili al paziente.

Secondo gli autori, ciò che rende efficaci questi trattamenti è la possibilità data al paziente di essere coinvolto in relazioni interpersonali ben strutturate, coerenti e in grado di fornire cure e attenzioni. Queste esperienze non sono specifiche di una modalità terapeutica, ma sono trasversali ai vari approcci psicoterapeutici.

Bibliografia

Ablon, J.S. & Jones, E.E. (1999) Psychotherapy process in the National Institute of Mental Health Treatment of Depression Collaborative Research Program. Journal of Consulting and Clinical Psychology 67 (1): 64-75.

Bateman, A.W. & Fonagy, P. (1999) The effectiveness of partial hospitalization in the treatment of borderline personality disorder - a randomized, controlled trial. American Journal of Psychiatry 156: 1563-1569.

Bateman, A.W. (1997) Borderline personality disorder and psychotherapeutic psychiatry: an integrative approach. British Journal of Psychotherapy 13(4): 489-498.

Beck, A.T. (1976) Cognitive Therapy and the Emotional Disorders. New York: International Universities Press.

Blagys, M.D. & Hilsenroth, M. (2000) Distinctive features of short-term psychodynamicinterpersonal psychotherapy: a review of the comparative psychotherapy process literature. Clinical Psychology: Science and Practice 7: 167-188.

Blatt, S.J., Auerbach, J.S. & Levy, K.N. (1997) Mental representations in personality development, psychopathology, and the therapeutic process. Review of General Psychology 1: 351-374.

Castonguay L.G., Goldfried, M.R., Wiser, S., Raue, P.J. & Hayes, A.M. (1996) Predicting the effect of cognitive therapy for depression: a study of unique and common factors. Journal of Consulting and Clinical Psychology 64: 497-504.

Elkin, I., Shea, M.T., Watkins, J.T. et al. (1989) National Institute of Mental Health Treatment of Depression Collaborative Research Program: general effectiveness of treatment. Archives of General Psychiatry 46: 971-982.

Freud, S. (1919) Lines of advance in psychoanalytic therapy. In the Standard Edition of the Complete Psychological Works of Sigmund Freud (Ed. J.Strachey), Vol. 17, pp. 157-168. London: Hogarth Press.

Shapiro, D.A., Rees, A., Barkham, M. et al. (1995) Effects of treatment duration and severity of depression on the maintenance of gains after cognitive-behavioral and psychodynamicinterpersonal psychotherapy. Journal of Consulting and Clinical Psychology 63: 378-387.

Stiles, W.B., Agnew-Davies, R., Hardy, G.E., Barkham, M. & Shapiro, D.A. (1998) Relations of the alliance with psychotherapy outcome: findings in the second Sheffield Psychotherapy Project. Journal of Consulting and Clinical Psychology 66: 791-802.

Wallerstein, R. (Ed.). (1992) The Common Ground of Psychoanalysis. New Jersey: Jason Aronson.

Wiser, S. & Goldfried, M.R. (1996) Verbal interventions in significant psychodynamicinterpersonal and cognitive-behavioural therapy sessions. Psychotherapy Research 6: 309319.

Pubblicato il 08/06/2009 alle ore 16:33

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