C'è la crisi. L'emergenza è solo economica?

Di Chiara Di Cristofaro.

Abstract: Crollo delle Borse, aziende in difficoltà, la disoccupazione che dilaga. Il costo della crisi non è elevato solo a livello economico ma comporta una serie di preoccupanti conseguenze a livello psicologico. Le ricerche degli ultimi due anni mostrano come, al crescere del numero dei senza lavoro, si registri un aumento dei suicidi e delle diagnosi di depressione, ma anche di casi di ansia, paura del futuro, bassa autostima, vergogna. Perché perdere il lavoro mette gravemente a rischio la propria identità.

Keywords: Crisi economica, disoccupazione, ansia, depressione, perdita d'identità.

 

Borse in caduta libera, lento e progressivo deterioramento degli indicatori economici globali, la coda lunga della disoccupazione che si fa sentire e continuerà a farsi sentire ancora per molto. Siamo alle prese con una crisi che persino molti economisti fanno ancora fatica a definire con precisione in termini di durata e modalità, ma che sta avendo effetti pesanti non solo a livello economico. Una delle conseguenze più evidenti del rallentamento economico è la disoccupazione che in Italia ad aprile è salita al 9%, addirittura al 30% tra i giovani (dati Istat, maggio 2010).

Restare senza lavoro è un problema: economico, innanzi tutto, per chi la sperimenta in prima pesona. Psicologico, per tutti, anche per chi la osserva da vicino. La paura di essere licenziati, l'incertezza sul futuro provocata dalla recessione e dai tagli al personale, magari subiti da amici o colleghi, la perdita di stabilità e di punti di riferimento, la disillusione sulle proprie prospettive. Negli ultimi mesi sono state realizzate diverse ricerche sulle correlazioni tra crisi economica e depressione, tra disoccupazione e suicidi. In occasione della Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro, l'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo, agenzia dell’Onu) ha messo in evidenza che “le forme di occupazione sono molto cambiate negli ultimi decenni, comportando anche la genesi di nuovi rischi per i lavoratori. Le riorganizzazioni aziendali, le riduzioni di personale, il subappalto e l'esternalizzazione hanno inevitabilmente colpito le condizioni di lavoro, rendendo più difficile ottenere un sano equilibrio tra lavoro e vita privata. Insieme ad altri fattori, queste variazioni hanno causato un aumento dello stress da lavoro e di altre forme di disturbi psicologici, e questa tendenza non potrà che acutizzarsi in una fase di crisi economica” (Ilo, aprile 2010).

Il precariato, la disoccupazione e i timori che ne derivano non mettono a rischio solo la condizione economica della persona, dunque, ma anche la salute e il benessere. Tanto che c'è chi , come il presidente dell'Ordine degli Psicologi della Lombardia Mauro Grimoldi, parla di una vera e propria “sindrome da lavoro precario”: pensieri che diventano ossessivi sul lavoro che non c’è, o che non ci sarà quando scadrà il contratto; la preoccupazione costante sul lavoro da svolgere al meglio per evitare il licenziamento. I sintomi più comuni: insonnia, mal di stomaco, depressione, ansia, disistima per se stessi. Alcuni dati diffusi dall'assessorato alla Salute del Comune di Milano nel febbraio scorso, nel corso di una conferenza stampa in occasione della giornata dedicata alla promozione della salute sui luoghi di lavoro, parlano di 47mila lavoratori in difficoltà, l'80% dei quali (oltre 37mila) con già problemi psicologici riconducibili a una sindrome da lavoro precario. Se riportati su scala nazionale i numeri diventerebbero a sei cifre (http://www.comune.milano.it).

La crisi economica può favorire la depressione?

Diversi studi in questi ultimi mesi hanno mostrato come ad un aumento del tasso di disoccupazione sia correlato un aumento dei casi di depressione. Da una ricerca condotta su un campione di 8.125 impiegati statunitensi realizzata da Kate Strully e dal Dipartimento di Sociologia della University of Albany di New York, pubblicata sulla rivista Demography nel maggio 2009, emerge che rispetto agli impiegati che mantengono il proprio posto di lavoro, coloro che lo perdono per la chiusura dell’azienda hanno una probabilità maggiore dell’83% di veder peggiorata la propria condizione di salute. La probabilità aumenta invece del 43% nel caso di licenziamento imposto dal datore di lavoro. I dati mostrano quindi che perdere il lavoro comporta, oltre al danno finanziario ed economico, un pericolo per la salute psicofisica.

Il tema degli effetti psicologici della recessione è stato ampiamente trattato anche in occasione del 45° Congresso nazionale della Società italiana di psichiatria (Sip) nell'ottobre 2009. Secondo i dati presentati in occasione del Congresso, l'aumento dei disturbi di ansia e depressione in corrispondenza della frenata dell’economia, e quindi dell'incertezza sul lavoro e della minore disponibilità finanziaria è pari rispettivamente al 30% e al 15%. Le donne sono considerate più fragili degli uomini di fronte alla precarietà e alle incertezze. In particolare, le trentenni con figli piccoli sono più a rischio: le stime sono per una crescita tra il 30 e il 40% dei casi di disturbo d'ansia generalizzato nelle donne giovani, contro un incremento del 20-25% negli uomini. E un aumento dei casi di ansia è atteso anche fra i giovani con meno di 25 anni.

Aumenta il tasso dei suicidi

Secondo lo studio “The public health effect of economic crisis and alternative government policy responses in Europe” condotto dall’Università di Oxford e dalla London School of Hygiene e pubblicato su Lancet nel luglio 2009, la crisi economica ha provocato un aumento del numero di suicidi e omicidi nei 26 Paesi dell'Ue. Per ogni aumento dell’1% del tasso di disoccupazione si ha in media un incremento dello 0,8% nei suicidi fra persone di meno di 65 anni. In particolare, la ricerca evidenzia che se la disoccupazione supera il 3%, l'aumento nel tasso dei suicidi in quella fascia di età sale del 4,5%, mentre le morti legate ad abuso di alcol addirittura del 28%. Fra gli uomini di età compresa fra i 30 e 44 anni si osserva inoltre un aumento del 2,7% delle morti per infarto. Gli autori non hanno invece riscontrato un aumento dei tassi di mortalità da tutte le cause anche se, notano, le risposte variano da paese a paese in relazione alla presenza di ammortizzatori sociali più o meno significativi. Inoltre, i ricercatori rifacendosi a quanto avvenuto con la Grande Depressione, mettono in evidenza che in quel caso alcuni effetti negativi si sono manifestati solo 5 anni dopo: “Vi è quindi il timore - scrivono - che la crisi attuale possa avere effetti di lunga durata; anche una volta che i mercati si siano ripresi, non è detto che le persone si riprendano dai timori e dai comportamenti a essi associati”.

Se perdo una parte di me

Oltre a ciò che i dati possono mostrare, correlando diagnosi di depressione e casi di suicidio alle crisi lavorative, guardando a fondo ciò che sta succedendo alla società attuale emerge più in generale che alla perdita del lavoro molto spesso viene associata una vera e propria perdita della propria identità. Il venire meno di una occupazione vuol dire non avere più un ruolo sociale, la capacità di sostentare se stessi e magari la propria famiglia. Come osserva Daniela Ovadia in un articolo dal titolo “Chi perde il lavoro perde se stesso?” pubblicato sulla rivista Mente&Cervello del febbraio 2010 “dal punto di vista della psicologia sociale, l'individuo tende a costruire una rappresentazione di sé basata sui ruoli che sente propri e, in base a questi, sviluppa la sicurezza che gli consente la corretta integrazione sociale. La perdita del lavoro inciderà quindi su ambedue gli aspetti: il ruolo sociale e l'autostima”. E questo non può che rendere ancor più complesso non solo affrontare le conseguenze pratiche della perdita dell'impiego, ma anche la possibilità di reinventarsi un modo per rientrare nel mondo del lavoro, di cogliere opportunità nuove, se si presentano. In una ricerca condotta da Duncan Gallie, docente di sociologia all'Università di Oxford e pubblicata nel 2004 nel volume “Resisting marginalization – Unemployment experience and social policy in the European Union”, si sottolinea come nel Nord Europa dove il welfare funziona, la marginalizzazione dei disoccupati deriva soprattutto dalla perdita del proprio ruolo sociale, mentre nell'Europa meridionale la mancanza di sussidi e sostegni adeguati rende le preoccupazioni materiali più rilevanti, a fronte di un sistema familiare maggiormente protettivo.

È interessante riflettere sul fatto che la perdita di identità colpisce in maniera molto forte chi ha avuto un ruolo di prestigio nell'ambito lavorativo: come sottolinea il professor Vincenzo Perrone del Dipartimento di Management dell'Università Bocconi, in un articolo pubblicato nel 2009 sulla rivista Economia&Management, “la maggior parte dei manager e dei quadri di buon livello, che hanno avuto successo e mettono passione in quello che fanno, affidano al proprio lavoro la definizione della propria identità. Se il lavoro finisce, anche l'identità personale scompare, con tutte le conseguenze psicologiche e sociali alle quali è bene pensare con una certa attenzione”. Questo perché il lavoro di responsabilità è stimolante, impegnativo, coinvolgente, include relazioni sociali intense e conferisce potere, soddisfacendo quindi una serie di bisogni psicologici che vanno ben oltre quelli puramente materiali. Dolorosa e poco indagata è, per Perrone, “la solitudine di chi si trova improvvisamente confinato in casa, privato della propria identità ed escluso dalla rete di relazioni nella quale ha investito buona parte della propria affettività oltre che del proprio impegno lavorativo”. Un elemento da tenere in considerazione è l'attribuzione della responsabilità: in un momento di crisi economica globale potrebbe essere più facile affrontare la perdita di lavoro se l'attribuzione è esterna e non interna. Se si perde il lavoro perché le cause di riduzione del personale sono legate alla recessione e non dipendono dal singolo (sono quindi esterne) gli effetti psicologici negativi possono essere attenuati rispetto a quando incolpiamo noi stessi dell'evento. Così come è importante analizzare le reazioni delle persone vicine, la rete di affetti, il sostegno disponibile e la capacità di chiedere aiuto. “La portata catastrofica dell'evento negativo della perdita di lavoro rischia di amplificarsi con un effetto domino – mette in evidenza Perrone – che va dalla perdita di fiducia in se stessi, che rende meno facile trovare un'alternativa di impiego, alla distruzione del tessuto di relazioni, inclusa la famiglia, proprio nel momento in cui la necessità di sostegno è massima, fino alla stigma di fallimento che impedisce di trovare aiuto da parte di terzi”. E se è vero che la perdita di lavoro si accompagna a una perdita di identità in maniera più rilevante per gli uomini rispetto alle donne (che più facilmente possono identificarsi nel ruolo di madre o moglie, per esempio), è vero anche che “la disoccupazione è un dramma per tutti, non solo dal punto di vista economico ma anche psicologico. Il lavoro è correlato allo status sociale di una persona e costituisce la base sulla quale immaginare il proprio futuro. Se non è una scelta volontaria – afferma Ovadia (ibidem) – stare a casa, per un uomo come per una donna, è perdere una parte di sé”.

Resilienza, questa sconosciuta

In fasi di grave crisi, come quella attuale, diventa fondamentale per l'individuo possedere la capacità di reagire positivamente ai cambiamenti, mutando le difficoltà in opportunità. Si chiama resilienza, termine mutato dalla scienza dei materiali dove connota la capacità di resistere a forze in grado di provocarne la rottura. La psicologia della salute la studia per comprendere quali fattori portino alcune persone a crollare di fronte a certi eventi ed altri a reagire facendo fronte autonomamente a condizioni di forte svantaggio. Per la psicologa Anna Oliverio Ferraris, che tratta il tema tra l'altro in un articolo pubblicato sulla rivista Prometeo nel 2004, la resilienza “è per la psiche ciò che il sistema immunitario è per il corpo, però, siccome psiche e corpo lavorano insieme e non c'è psiche separata dal corpo, i due sistemi possono potenziarsi oppure deprimersi a vicenda”. Oliverio Ferraris mette in evidenza una serie di fattori o attitudini che compongono la resilienza: biologici, psicologici (tra cui l'importanza delle relazioni che si formano nell'infanzia e che consentono di strutturarsi come persona capace di reagire di fronte alle avversità), sociologici (l'influenza del gruppo, della cultura, dell'etica, della spiritualità).

La psicologa Ann S. Masten dell'Università del Minnesota in un articolo pubblicato nel 2001 su American Psychologist parla di “ordinaria magia”, indicando il grande potere positivo che hanno fattori protettivi comuni nell'esperienza esistenziale di molti e tra questi sottolinea la qualità delle relazioni di un soggetto. “La rete di relazioni – afferma Perrone in un articolo del 2010 – è la palestra nella quale impariamo ad avere fiducia in noi e negli altri e a non sentirci soli di fronte agli imprevisti che la vita ci presenta ogni giorno. Rompere questa rete significa ridurre la capacità di rispondere in modo positivo a una crisi. Questo spiega (…) perché le riduzioni di personale nelle aziende, che seguono inesorabilmente una crisi economica lasciando ampi e significativi buchi nella rete delle relazioni tra le persone, gettino anche coloro che dovrebbero essere motivati e contenti per aver salvato il proprio posto in una 'sindrome del sopravvissuto' capace di deprimere sia la produttività sia la persona”. Per essere resilienti, “abbiamo dunque bisogno del sostegno che può venire anche dalle comunità di lavoro”. 

Conclusioni

Negli ultimi anni si è registrato un aumento degli sportelli psicologici gestiti dagli enti locali, soprattutto nelle province del Nord, dedicati al sostegno di persone con problemi legati al lavoro e alla crisi economica. Tuttavia, gli interventi sono ancora limitati e quasi del tutto assenti nelle aziende, dove invece la presenza del supporto di uno psicologo o di un counsellor in una fase di passaggio delicata come questa sarebbe fondamentale. Da una ricerca Gfk/Eurisko risulta che nel 2007-2008 solo il 14% delle aziende lombarde (circa 4 mila) è ricorsa allo psicologo. In una delle regioni più attente a questo tipo di problematiche, un numero decisamente troppo limitato rispetto all'emergenza che stiamo attualmente vivendo.

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Informazioni sull'autore

Chiara Di Cristofaro è giornalista professionista dal 2002. Lavora dal 2001 nel gruppo Sole 24 Ore, dove si occupa di economia e finanza. Da sempre interessata alla psicologia, studia per diventare counsellor Aspic ed è iscritta alla facoltà di Psicologia della "Sapienza".

Pubblicato il 22/06/2010 alle ore 15:27

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