May S., O'Donovan A. (2007). The advantages of the mindful therapist. Psychotherapy in Australia, 13, 4.
Sheryle May e Analise O'Donovan hanno condotto uno studio, in Australia, sulla relazione tra consapevolezza, benessere, burnout e soddisfazione lavorativa negli psicoterapeuti. Questo lavoro può essere tanto soddisfacente quanto gravoso, ma l'importanza delle qualità del terapeuta nei risultati del trattamento, rendono necessario, o quantomeno utile, che egli stia "funzionando" ad un livello ottimale.
May e O'Donovan si sono concentrate su tre aspetti principali nella loro ricerca: benessere, soddisfazione lavorativa e burnout.
Diverse ricerche hanno connesso il livello di benessere del terapeuta con gli esiti della terapia (Beutler et al., 2004): le qualità associate con il benessere, come la fiducia in se stessi e l'autostima, hanno mostrato un'influenza positiva sia sugli esiti del trattamento che sulla reazione col cliente (Williams e Chambless, 1990; Wiggens e Giles, 1986).
Un importante fattore che può influenzare l'efficacia del terapeuta è il possibile sviluppo di situazioni di burnout, con cui si definisce una sindrome di esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta efficacia lavorativa (Maslach, Jackson & Leiter, 1996), che nasce dall'eccessivo stress dato dal lavoro intensivo con le persone (Maslach, 1982). Alcune ricerche mostrano che c'è un livello significativo di burnout tra i terapeuti (Onyett, Pillinger & Muijen, 1997; Ackerley, Burnell, Holder, & Kurdek, 1988, Vredenburgh, Carlozzi, & Stein, 1999).
La soddisfazione sul lavoro è l'atteggiamento che esprime il proprio appagamento per se stessi nel proprio ruolo lavorativo (Spector, 1997). È correlata al benessere: gli individui soddisfatti del proprio lavoro ottengono misure più elevate di benessere (Judge & Watanabe, 1993), mentre l'insoddisfazione è connessa al burnout (Brewer & Clippard, 2002) e al calo della prestazione lavorativa (Caldwell & O'Reilly, 1993).
Sono diverse le attività che può intraprendere uno psicoterapeuta per la cura di se stesso nel proprio lavoro, come la terapia personale, la supervisione tra pari, ecc. May e O'Donovan prendono in considerazione la mindfulness, cioè un attivo e profondo stato di consapevolezza rivolto al presente. "Mindful" può essere tradotto come conscio, consapevole, ma anche come attento e sollecito. La consapevolezza in questione è quindi un particolare modo di essere attenti, momento per momento, ai propri sentimenti ed emozioni (verso l'interno), e all'ambiente e ai comportamenti (verso l'esterno), mantenendo sempre un atteggiamento di accettazione non giudicante (Grossman, Niemann, Schmidt & Walach, 2004). Questa forma di consapevolezza può essere praticata attraverso la meditazione e lo yoga (Grossman, et al, 2004), ma anche durante le attività quotidiane con l'esercizio di mantenersi presenti a se stessi in ogni momento, collegando all'istante ogni pensiero e ogni sensazione. Per gli psicoterapeuti, può incrementare la capacità di comprendere le emozioni e le situazioni faticose (Fulton, 2005) e quella di non agire collusivamente alle richieste del cliente, aiutando a rompere meccanismi di risposta automatici e ritualizzati (Olendzki, 2005). Inoltre, l'esercizio attivo di consapevolezza, così intesa, può incrementare l'autoefficacia (Grossman et al, 2004) e l'empatia (Shapiro, Schwartz & Bonner, 1998), mentre riduce gli stati di ansia e depressione (Surawy, Roberts & Silver, 2005; Miller, Fletcher & Kabat-Zinn, 1995), lo stress percepito (Chang , 2004; Reibel, Greenson, Brainard & Rozenweig, 2001) e l'esperienza di burnout (Shapiro et al., 2005).
Lo studio di Sheryle May e Analise O'Donovan ha l'obiettivo di comprendere la relazione tra livello di consapevolezza e tre variabili identificate come rilevanti per l'efficacia degli psicoterapeuti: benessere, burnout e soddisfazione lavorativa. Inoltre le autrici hanno indagato se la pratica di yoga e/o meditazione potesse incrementare il livello di consapevolezza.
Il loro campione era composto da 55 psicologi e consulenti, di cui 47 erano donne e 8 uomini, con un'età media di 42 anni (range 22-63). Tutti hanno risposto ad un questionario con la richiesta di informazioni sulla eventuale pratica di yoga e meditazione, due scale sulla consapevolezza, due sul benessere, una sulla soddisfazione nel lavoro ed una sul burnout.
Dai risultati è emerso che alti livelli di consapevolezza correlavano positivamente con la soddisfazione nella vita e con quella lavorativa, con le emozioni positive e la percezione di ottenere buoni risultati personali, mentre correlavano negativamente con le emozioni negative, l'esaurimento emotivo e la depersonalizzazione tipiche del burnout. Al di là delle aspettative, non sono state trovate differenze significative nei livelli di consapevolezza tra chi pratica yoga e chi non lo pratica, mentre per quanto riguarda la meditazione, delle differenze significative sono state trovate solo su una delle due scale di consapevolezza proposte.
Il lavoro dei terapeuti richiede il confronto continuo con gli altri e con le loro emozioni, la consapevolezza, quindi, può incrementare il benessere grazie all'attenzione continua al presente "interno" ed "esterno" (Kaban-Zinn, 1990). Quando le forti emozioni vengono accettate con consapevolezza, se ne rende evidente la loro natura transitoria: l'emozione forte passerà, con un po' di tempo. Inoltre, l'attenzione al presente interrompe le ruminazioni sul passato e le ansie per il futuro (Brown e Ryan, 2003). La consapevolezza può aiutare i terapeuti ad essere più presenti nelle relazioni coi loro clienti, a focalizzare l'attenzione sul qui ed ora e a comprendere ed elaborare con più cura le proprie emozioni, favorendone l'esplorazione.
La consapevolezza correla negativamente con il burnout, probabilmente la capacità di riconoscere quando si è emotivamente esausti e sovraccarichi di lavoro, permette di comprendere prima il proprio disagio e quindi facilita la messa in atto di comportamenti adatti alla situazione.
Dai risultati è emerso che alti livelli di consapevolezza correlano positivamente con la soddisfazione sul lavoro. May e O'Donovan ipotizzano che la consapevolezza influisca sulla soddisfazione lavorativa indirettamente, attraverso l'influenza che ha sul benessere, ma per verificare questa ipotesi saranno necessarie altre ricerche.
Come abbiamo visto, al di là delle aspettative, non sono state trovate differenze significative nei livelli di consapevolezza tra chi pratica yoga e chi non lo pratica. Per quanto riguarda la meditazione, invece, i risultati sono contraddittori: delle differenze significative sono state trovate solo su una delle due scale di consapevolezza proposte. May e O'Donovan spiegano questi risultati sottolineando quanto sia difficile avere una definizione univoca di yoga e meditazione e quanto sia ancor più difficile tra chi pratica la meditazione "formale" e chi compie attività di riflessione e auto-riflessione non etichettati come meditazione, ma sostanzialmente simili. Ad esempio, l'obiettivo di un praticante di yoga potrebbe essere il solo esercizio fisico e questo non avrebbe effetti sulla consapevolezza, oppure, uno psicologo che non pratica la meditazione, può comunque essere abituato a mettere in atto tecniche di "monitoraggio interno ed esterno" in grado di aumentare la consapevolezza.
La più grande limitazione di questo studio, oltre alla scarsa grandezza del campione, è la difficoltà a definire il costrutto stesso di consapevolezza. Le scale utilizzate forniscono, secondo May e O'Donovan, una buona misura del costrutto, ma lo stato della ricerca e la vastità dell'oggetto di studio ne rendono difficile una definizione completa.
Per quanto riguarda le direzioni future della ricerca, le due autrici suggeriscono di investigare se il livello di mindfulness del terapeuta sia connesso alla buon esito della terapia, per verificare che questa qualità sia veramente significativa nel processo terapeutico. Inoltre, suggeriscono di studiare gli effetti di eventuali "training alla consapevolezza" per giovani psicologi e terapeuti sull'incidenza della sindrome di burnout. Sembra, infatti, che i professionisti più giovani siano quelli maggiormente a rischio (Vredenburgh et al., 1999).
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Pubblicato il 09/06/2008 alle ore 14:33
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