Safran J. D., Messer S. B. (2006). Psychotherapy Integration: A Postmodern Critique. Clinical Psychology: Science and Practice, Volume 4, Issue 2, 40-152.
L'integrazionismo è ormai un orientamento molto rilevante nell'ambito psicoterapeutico. Già nel 1990 un'intervista riservata a psicoterapeuti, psicologi, psichiatri e operatori sociali americani rilevava che tra il 59% e il 72% di loro prediligeva un approccio eclettico (Jensen, Bergin, & Greaves, 1990).
L'articolo di Safran e Messer analizza criticamente le tre maggiori tendenze del movimento di integrazione in psicoterapia (eclettismo tecnico, fattori comuni e integrazione teorica), utilizzando la prospettiva postmoderna del contestualismo e del pluralismo.
Un tema ricorrente nel postmodernismo è che la propria identità emerge solo tramite la costruzione "dell'altro" (Hegel, 1910), quindi spesso si va a definire in contrasto all'altro. Un'importante funzione della critica postmoderna è quindi quella di combattere le costruzioni della realtà che marginalizzano l'altro. Tradizionalmente, in psicoterapia, la definizione di un approccio si è basata sul contrasto con un altro. Un esempio classico è la psicanalisi contro il comportamentismo e viceversa. Da una prospettiva postmoderna, una delle più importanti funzioni dell'integrazione in psicoterapia è di aiutare i teorici e i clinici a scostarsi da un certo atteggiamento di superiorità e di avversione che nasce a volte nel confronto con altre tendenze. Questo atteggiamento può proficuamente essere sostituito dalla voglia di imparare e dallo “stupore”, inteso come insieme di curiosità, entusiasmo e comprensione.
Il contestualismo parte dal presupposto che un evento abbia significato solo nell’ambiente in cui avviene, non può quindi essere studiato come un elemento isolato. Il pluralismo, contemporaneamente, presuppone che un evento sia interpretabile da diversi punti di vista. Non esiste, quindi, una sola ed unica verità da perseguire.
L’eclettismo tecnico si basa sull’uso di tecniche provenienti da cornice teoriche diverse.
In un primo caso, le tecniche vengono utilizzate in modo associato con lo stesso cliente, perché ritenute efficaci, da un punto di vista clinico e scientifico. Non si presta attenzione, però, all’integrazione teorica. Secondo gli autori, il punto debole di questo approccio è che si applicano tecniche disancorate dai loro presupposti teorici, che vengono semplicemente trasportate da un contesto ad un altro (Lazarus & Messer, 1991).
Un secondo tipo di eclettismo tecnico prevede l’applicazione di tecniche diverse in base ai problemi presentati dal cliente. In questo modo si ha il vantaggio di contestualizzare la terapia in modo adeguato ai bisogni del cliente. Questo approccio, però, non prende in considerazione il fatto che due pazienti con la stessa diagnosi, possono presentare bisogni e casi diversi tra loro (Collins & Messer, 1991; Persons, 1991). Inoltre, il cliente cambia durante la terapia, è quindi necessario che il clinico sia attento a modificare di conseguenza il proprio approccio (Rice & Greenberg, 1984; Safran, Greenberg, & Rice, 1988).
Una seconda forma di integrazione consiste nell’identificare e utilizzare i fattori comuni del cambiamento in psicoterapia (Frank & Frank, 1991; Goldfried, 1980; Weinberger, 1995). Safran e Messer riportano l’esempio dell’autocritica. Molti approcci terapeutici riconoscono l’importanza che il cliente diventi consapevole della propria tendenza all’autocritica.
Gli autori considerano l’estrapolazione dei fattori comuni un importante processo per la verifica dell’efficacia della psicoterapia e per il dialogo tra i vari orientamenti, ma sottolineano quanto sia necessario contestualizzare i fattori considerati. Ad esempio, mentre gli approcci cognitivi vedono nell’autocritica un pensiero disadattivo da riconoscere ed eliminare (Messer & Winokur, 1984), gli approcci gestaltici trattano l’autocritica come un aspetto di sé che deve essere riconosciuto ed integrato con le altre parti di sé. Le differenze teoriche tra i vari orientamenti non vanno ignorate, perché hanno una ricaduta profonda sulla pratica clinica.
In questo tipo di integrazione differenti teorie sono combinate per produrre una nuova teoria maggiormente comprensiva della realtà. Il vantaggio è di ottenere una teoria con maggiore forza esplicativa, ma lo svantaggio è quello di perdere delle tecniche pratiche strettamente legate alla teoria originaria. Inoltre, per integrare più teorie è di norma necessaria una traduzione di alcuni concetti, in modo che possano rientrare in una cornice teorica che li comprenda. Come in ogni traduzione, questo porta ad una perdita di informazioni e di significati perché possono non essere accessibili dal ricevente.
Messer e Winokur (1984) hanno comparato terapie analitiche, comportamentali ed umanistiche rilevando la loro difficoltà di integrazione a livello metateorico. La teoria psicanalitica, infatti, sembra guidata da una visione tragica dell’uomo, secondo cui siamo guidati da forze di cui siamo solo in parte consapevoli e che possono essere solo parzialmente migliorate. Il comportamentismo, invece, sembra basato su una visione comica dell’individuo, in cui i conflitti sono esterni e completamente risolvibili. Infine, l’approccio umanistico è guidato da una visione romantica dell’uomo, in cui si apprezza l’individualità, la spontaneità e le illimitate possibilità.
L’integrazione a livello metateorico, secondo Safran e Messer, può avvenire considerando ogni approccio come una lente in grado di mettere a fuoco diversi fenomeni e diversi aspetti dello stesso fenomeno. Anche se una visione tragica ed una comica non possono essere facilmente integrate, possono mettere in evidenza le differenti dimensioni dell’esperienza. Messer (1992) definisce questo tipo di integrazione come “assimilativa”. In questo modo possono essere incorporate teorie e tecniche diverse mantenendone il contesto di riferimento originario.
Differenti tradizioni terapeutiche sono associate a differenti posizioni epistemologiche. Ad esempio, un sondaggio di Morrow-Bradley e Elliott (1986) trovò che i terapeuti ad orientamento dinamico, rispetto a quelli comportamentisti, trovavano meno utili i progressi della ricerca scientifica nel loro lavoro clinico. Non a caso la tradizione comportamentista è basata, a livello epistemologico, sull’empirismo (Scriven, 1969), mentre la tradizione analitica è più ermeneutica (Messer et al., 1988). Negli ultimi anni, però, in campo psicoterapeutico si è assistito ad una valorizzazione del pluralismo metodologico (Polkinghorne, 1984). Si incoraggia, quindi, l’accordo tra posizioni epistemologiche differenti come migliore fondamento per la validità teorica.
L’atteggiamento di apprezzamento per “l’altro” può spingere a credere che tutto sia “giusto”, tutto sia uguale ed abbia la stessa efficacia. Da un punto di vista scientifico, invece, cercare il dialogo con l’altro non significa acquisirne acriticamente ogni idea. Per Safran e Messer il vero dialogo consiste nell’ascoltare e capire l’altro, con la volontà di testare le proprie credenze. Più che di un’acquisizione passiva, si tratta di entrare attivamente nel processo di ricerca della “verità”.
Safran e Messer chiariscono quali sono, a parer loro, le implicazioni del contestualismo e del pluralismo per la teoria, la pratica e la ricerca in psicoterapia.
A livello teorico sottolineano l’importanza del dialogo continuo tra prospettive differenti. La loro critica all’integrazionismo si pone in questa dimensione. Il senso non è quello di demolire le tendenze integrative, ma di dialogare su di esse per condurne un’analisi critica. In linea con il punto di vista contestualista, il dialogo a livello teorico deve però essere fondato nella specificità della pratica clinica.
Un’implicazione del pluralismo a livello pratico prevede un training psicoterapeutico che sia in grado di fornire il linguaggio e le pratiche di diversi approcci. Troppo spesso il training psicoterapeutico è fondato su una sola ed unica prospettiva, che preclude al dialogo con gli altri colleghi. Contemporaneamente, il contestualismo sottolinea l’importanza per i clinici di valutare attentamente e contestualizzare le tecniche che “importano” da altre prospettive.
Per quanto riguarda le implicazione di un approccio postmoderno sulla ricerca in psicoterapia, gli autori sottolineano l’importanza di riportare la complessità del fenomeno clinico nell’ambito di ricerca. Un’ultima indicazione è quella di essere mentalmente aperti verso i metodi di ricerca non prettamente sperimentali o correlazionali. I metodo qualitativi presentano delle cornici teoriche in cui la minore “scientificità” è giustificata dalla ricchezza degli eventi e dei processi analizzati.
Safran e Messer concludono sottolineando che la forza degli approcci integrazionisti sta proprio nella loro ricerca del dialogo per giungere ad un punto di vista più comprensivo degli eventi.
Collins, W. D., Messer, S. B. (1991). Extending the plan formulation method to an object relations perspective: Reliability, stability and adaptability. Psychological Assessment: A Journal of Consulting and Clinical Psychology, 3, 75–81.
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Goldfried, M. R. (1980). Toward delineation of therapeutic change principles. American Psychologist, 35, 991–999.
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Jensen, J. P., Bergin, A. E., Greaves, D. W. (1990). The meaning of eclecticism: New survey and analysis of components. Professional Psychology, 21, 124–130.
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Messer, S. B., Winokur, M. (1984). Ways of knowing and visions of reality in psychoanalytic therapy and behavior therapy. In H. Arkowitz S. B. Messer, Psychoanalytic therapy and behavior therapy: Is integration possible? (pp. 53–100). New York : Plenum Press.
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Scriven, M. (1969). Logical positivism and the behavioral sciences. In P. Achinstein S. S., The legacy of logical positivism (pp. 195–209). Baltimore : Johns Hopkins Press.
Weinberger, J. (1995), Common factors aren't so common: The common factors dilemma. Clinical Psychology: Science and Practice, 2, 45–69.
Pubblicato il 15/02/2009 alle ore 15:49
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