Quando il figlio non arriva

Di Giada C. Steinhauer

Abstract: L’infertilità può essere molto frustrante. I trattamenti medici offrono una speranza, ma i costi, emotivi e non solo economici, possono essere altissimi. Spesso le coppie abbandonano le cure mediche per lo stress, ritrovandosi sole a elaborare un nuovo progetto di vita. Fortunatamente esistono risorse per sostenere la coppia e aiutarla a ridefinirsi, reagendo positivamente alla crisi e trasformandola in una opportunità di crescita. È importante che vi sia maggiore consapevolezza di tali risorse.

Keywords: infertilità, ansia, stress, gruppi di sostegno, counseling.

 

Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia le coppie infertili sono circa il 15%; nel mondo l’infertilità colpisce circa 70 milioni di persone, pari a circa l’8-10% delle coppie.

Per la coppia, l’infertilità è un’esperienza molto frustrante e dolorosa, con il fallimento, almeno temporaneo, del progetto di genitorialità perseguito.

A fronte di una infertilità conclamata, sono disponibili diversi tipi di trattamenti medici, che variano tra loro anche per invasività. Le cure mediche possono effettivamente fornire un’opportunità di realizzare il desiderio di diventare genitori. Tuttavia, esse hanno costi fisici, psichici ed economici non sempre ponderabili a priori; come sottolinea Silvia Vegetti Finzi, in questo caso “la tecnica non è mai neutra, porta con sé conseguenze che è importante conoscere e valutare”.

L’intervento medico nella ricerca del concepimento

Il percorso di chi decide di farsi seguire medicalmente è, infatti, spesso faticoso e frustrante. Le invasive ricerche diagnostiche provocano stress a livello personale e di coppia, oltre a condizionare la vita sessuale, già impoverita da una forzata concentrazione sull’obiettivo del concepimento.

Al tempo stesso, l’individuazione di una responsabilità primaria in capo all’uno o all’altro dei partner può provocare inespressi sensi di colpa, a volte non adeguatamente elaborati perché negati. L’assenza invece di cause di infertilità organiche può rivelare difficoltà psicologiche di uno o di entrambi i membri della coppia, che potrebbero essere risolte da un intervento psicoterapeutico che aiuti a elaborare eventuali conflitti inconsci con il progetto di diventare genitori (Vegetti Finzi, 1992).

La ricerca di un medico e di un centro di fiducia può rivelarsi faticosa, oltre che costosa, considerato peraltro che spesso ci si rivolge anche a centri esteri (la EHSRE - European Society of Human Reproduction and Embryology stima in 10.000 i cicli di fecondazione assistita effettuati dalle coppie italiane ogni anno all’estero). Dai forum specializzati emerge che una delle principali cause di frustrazione è legata al rapporto con il personale medico: la delicatezza e l’intimità del problema rende difficile l’instaurarsi di una relazione di fiducia. La figura medica coinvolta viene poi spesso investita di un ruolo salvifico, ponendosi quale terzo, a livello simbolico, tra i partner, con conseguente senso di dipendenza e passività e il loro correlato di ansie.

Per quanto riguarda la sessualità, essa è, da un lato, sollevata dalla funzionalizzazione riproduttiva fino ad allora vissuta dalla coppia; dall’altro, potrebbe per questo essere percepita, in quanto svuotata della propria capacità generatrice, come sostanzialmente inutile.

Le limitate possibilità di riuscita delle tecniche di fecondazione espongono poi a frequenti esperienze di insuccesso; dall’altro lato, la disponibilità della tecnica, insieme alle notizie circa le gravidanze clamorose anche in tarda età, rendono difficile decidere quando fermarsi e accettare il fallimento.

Ulteriori problematiche sono poste dalle tecniche di fecondazione eterologa, non disponibili in Italia, per usufruire delle quali numerose coppie si imbarcano in una complessa “migrazione per problemi riproduttivi”. In questi casi la donazione di gameti può introdurre, a livello dell’immaginario, un triangolo con il donatore o la donatrice. Si possono sperimentare sottili fantasie di tradimento e difficoltà, per il partner “sostituito”, a sentirsi pienamente genitore simbolico, se non biologico, del figlio. Vista la relativa novità del fenomeno, non vi è ancora piena consapevolezza circa l’importanza, in caso di successo del trattamento, di raccontare al figlio le sue origini. Di conseguenza, le coppie tendono a non svelare a nessuno l’iter seguito per raggiungere il concepimento, rischiando così di non giungere a una adeguata elaborazione del percorso effettuato.

Il congelamento di gameti ed embrioni può, invece, essere percepito con un senso di straniamento e con la inconscia preoccupazione che l’esperienza del freddo – simbolicamente espressione dell’assenza di vita – possa riflettersi in qualche modo sul bambino. Ancora, la presenza di embrioni congelati in sovrannumero può creare sensi di colpa e difficoltà a gestire le difficili domande, anche etiche, relative al loro eventuale smaltimento (Vegetti Finzi, 1992).

Anche il risultato sperato, la gravidanza, è vissuta con il senso di una opportunità irripetibile, che crea ansia e induce le gestanti a sottoporsi a periodi di astensione dal lavoro e indagini diagnostiche molto maggiori che nelle gravidanze spontanee. Inoltre, la tensione vissuta sull’obiettivo del concepimento rende difficile accettare le difficoltà e incertezze proprie delle fasi iniziali della gravidanza e rende il peso psicologico di un eventuale aborto spontaneo molto elevato.

L’abbandono delle cure mediche

A fronte di tali vissuti non sorprendono i risultati di recenti studi, che evidenziano come lo stress sia la principale causa per cui le coppie decidono di interrompere, o di non intraprendere affatto, i trattamenti per la fertilità.

In particolare la ricerca “Fertility. The real story” - condotta da Merck Serono in collaborazione con l’Università di Cardiff su 10.045 coppie in diciotto paesi - rivela che in 4 casi su 10 non si cerca un aiuto medico; determinante è la difficoltà, generalmente degli uomini, ad aprirsi con amici e parenti per parlare del problema, oltre che l’assenza di adeguate informazioni (cfr. www.icsicommunity.com). Interessanti sono i dati relativi all’Italia, significativamente al di sotto della media per quanto riguarda la consapevolezza del problema dell’infertilità e l’apertura (soprattutto degli uomini) a parlarne. Inoltre, il 54% delle coppie non persevera nel ciclo di trattamenti a causa dello stress. Il costo dei trattamenti, al contrario, non ha la medesima incidenza; anzi, l’abbandono delle cure avviene anche nei paesi in cui il trattamento è a carico del servizio sanitario nazionale (Domaretal., 2010; Brandes et al., 2009).

Le risorse per fare fronte

È quindi importante che la coppia che affronta l’esperienza dell’infertilità abbia uno spazio e degli strumenti per elaborare quanto sta vivendo, per "sentirsi" rispetto alle opzioni disponibili (soprattutto a quelle, particolarmente complesse, legate alla donazioni di gameti, alla scelta dell’adozione o del momento in cui fermarsi) e per ridefinirsi al di là del ruolo genitoriale desiderato. Del resto, uno studio condotto presso l’Università del Michigan (Sexton, 2010) ha misurato che al momento delle cure mediche la resilienza della coppia – ossia la capacità di reagire positivamente ai traumi, al dolore e al cambiamento, subìto, del proprio progetto di vita, mutando le difficoltà in opportunità - è significativamente impoverita. Invece, l’aprirsi e il cercare aiuto per affrontare e gestire i problemi aumentano la capacità di reagire, rivalutare la propria sofferenza, modificare l’idea che si ha di essa, integrarla nella propria storia individuale e farne un’occasione di crescita personale.

A tal fine, esistono risorse efficaci di sostegno e di orientamento per la coppia.

Una rete sociale di supporto è importante, anche se soprattutto gli uomini tendono a non avvalersene pienamente, essendo meno aperti a parlare del problema.

Le esperienze di condivisione in gruppo si rivelano molto utili a fornire strumenti di coping. In particolare, i gruppi di auto-aiuto consentono la condivisione delle emozioni: la loro natura proattiva, in cui ciascun membro contribuisce al successo del gruppo, aumenta le risorse personali della coppia, aiutandola a normalizzare la propria esperienza e fornendole sostegno emotivo. Anche i gruppi con un facilitatore professionale si dimostrano molto utili; uno studio, in particolare, sostiene che la frequenza regolare di gruppi terapeutici avrebbe anche l’effetto di aumentare il tasso di fertilità (Domar et al., 2000).

Gli interventi di counseling e di supporto psicologico individuali e di coppia – indipendentemente dalla metodologia seguita - assicurando la condivisione delle emozioni e il non evitamento del problema, agevolano l’elaborazione della mancata genitorialità (Polatti et al., 2009). Un intervento di counseling aiuta, inoltre, a orientarsi nella scelta delle strade da intraprendere e a sostenerla nel gestire lo stress legato al ricorso a cure mediche e le problematiche di natura sessuale che possono essere intervenute per via dell’infertilità. Sono ormai numerosi gli studi che sostengono come l’utilizzo di tali risorse diminuisca lo stato di stress della coppia (da ultimo, cfr. Agostini et al, 2010).

Riportare l’infertilità al di fuori di una esclusiva medicalizzazione

Eppure, il numero degli aspiranti genitori che si avvalgono di un sostegno di counseling o psicologico è ancora molto limitato. È quindi importante l’acquisizione di un’ampia consapevolezza – tra chiunque si trovi a raccogliere il disagio della coppia, e soprattutto tra i medici di base e quelli specialistici – dell’importanza di prospettarlee le forme di sostegno disponibili, non limitandola al dialogo solo medico, che già tanto incide sul processo di gestione dell’infertilità. In tal senso, le Linee Guida della European Society of Human Reproduction and Embriology (ESHRE) del 2001 evidenziano tre tipologie di interventi utili in materia di infertilità, il counseling decisionale (informativo, volto a consentire di comprendere le implicazioni del trattamento perseguito), di sostegno (per supportare emotivamente in specifici momenti di difficoltà - per esempio in una fase di intense cure, nei periodi di attesa dei risultati, a seguito del fallimento di un ciclo di trattamento, nella decisione se proseguire o meno nel percorso medico -, con l’obiettivo di focalizzare sulle risorse a disposizione della coppia e di definire strategie per fronteggiare lo stress) e terapeutico (per l’elaborazione di aspetti particolarmente problematici, quali l’accettazione della situazione, il significato dell’infertilità, la definizione di una diversa prospettiva di vita, le crisi nel rapporto o i problemi nelle relazioni sociali e familiari).

In tutte le ipotesi le Linee Guida ESHRE precisano che sono richieste competenze relazionali specifiche, diverse da quelle ordinariamente coinvolte nel rapporto paziente-medico. A differenza di quello terapeutico, il counseling decisionale e di sostegno può essere svolto anche da personale medico ma solo laddove esso abbia una specifica formazione di counseling o di psicoterapia.

Al contrario, le linee guida del Ministero della Salute applicative della legge n. 40/04 in materia di procreazione assistita (d.m. 11 aprile 2008), pur ispirandosi alle Linee Guida ESHRE e sostenendo la necessità di offrire un adeguato sostegno psicologico alla coppia, sono meno attente lì dove prevedono che la consulenza (brutta traduzione dall’inglese counseling) decisionale e quella di sostegno possano essere offerte anche da personale medico, senza richiedere competenze relazioni specifiche (quali quelle di un counselor o di uno psicoterapeuta), mentre solo quella terapeutica debba essere svolta esclusivamente da specialisti del settore. Non vi è, quindi, sufficiente chiarezza sui diversi ambiti di intervento medico e psicologico, lasciando a quest’ultimo un ruolo di fatto ancillare rispetto al primo. Il risultato è che i centri specializzati si limitano spesso a richiamare solo nel modulo del consenso informato, tra le altre voci, la possibilità di cercare un sostegno psicologico, cui non è data altra valorizzazione durante il percorso. Si è persa un’occasione, così, per riconoscere la specificità del bisogno della coppia e dell’aiuto qualificato che può ricevere.

In conclusione

Sono ormai numerosi gli studi che correlano lo stress all’esito del trattamento medico (Gürhan et al., 2009). Inoltre, il trattamento medico si inserisce pesantemente nella normale routine lavorativa della coppia, che già di per sé può avere un’incidenza sulle difficoltà di concepimento: uno studio sostiene che la difficoltà di rimanere incinta è tanto maggiore tra le donne che hanno un lavoro molto richiedente (Barzilai-Pesach et al., 2006). In tal senso, l’impatto in termini di stress aggiuntivo legato agli interventi medici può essere difficile da sostenere, oltre a rendere meno efficaci i trattamenti stessi. Ansia e depressione sono assai frequenti.

Gli strumenti per affrontare questa situazione stressante ci sono. È importante quindi che tutti coloro che vengono in contatto con la difficoltà degli aspiranti genitori prospettino loro le possibilità di sostegno e di orientamento disponibili. Per aiutare la coppia a riscoprire le proprie risorse ed attraversare la crisi positivamente, così da farne – al di là degli esiti - un importante momento di crescita personale. 

Bibliografia

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Vegetti Finzi, Volere un figlio, Milano 1995.

Note sull’autore

Giada C. Steinhauer è una giurista con una passione per la psicologia. Frequenta il Master esperienziale di Counseling Professionale presso l’ASPIC, che completerà nel dicembre 2010, e studia psicologia all’università. 

Pubblicato il 16/11/2010 alle ore 12:12

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